Pubblicato il 13 ottobre 2022 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati
A inizio anno, Jeff Sackmann si è imbarcato in un immenso progetto di elaborazione di una classifica dei 128 giocatori e giocatrici più forti di tutti i tempi, ponendosi l’obiettivo di terminare a dicembre 2022. Con una media di più di 2000 parole per singolo profilo, si tratta di una vera e propria enciclopedia di chi è chi nel tennis, dalla sua nascita a oggi. Per limiti di tempo e più evidenti limiti di talento, settesei.it propone una selezione delle figure maggiormente rappresentative per vicinanza d’epoca e notorietà, n.d.t.
Justin Henin [BEL]
Data di nascita: 1 giugno 1982
Carriera: 1999-2011
Gioco: destrimane (rovescio a una mano)
Massima classifica WTA: 1 (20 ottobre 2003)
Massima valutazione Elo: 2437 (prima nel 2007-08)
Slam in singolo: 7
Titoli WTA in singolo: 43
// Non ha avuto tutto inizio da una mano alzata, ma una mano alzata avrebbe poi dato avvio a un quinquennio di controversie. Justine Henin era sotto 2-4, 0-30 contro Serena Williams nell’ultimo set della semifinale del Roland Garros 2003. Williams era la campionessa uscente e numero 1 del mondo, mentre Henin era la numero 4, ma qualche settimana prima aveva vinto l’ultimo loro confronto a Charleston. Aveva dalla sua un tifo rumoroso e di parte, che la incitava come una sorta di eroina nazionale in un modo che solo un pubblico francese è in grado di fare. Indietro 0-15, Henin aveva sbagliato un dritto lungo. Era sufficientemente vicino alla riga da suscitare il disappunto di molti spettatori e far controllare il segno dall’arbitro Stefan Fransson, il quale, sotto una pioggia di fischi e buuu, aveva confermato che era effettivamente uscita. Sul 30-0, Williams aveva servito la prima, con Henin che aveva la mano alzata per chiedere all’avversaria di attendere. Ci sta, del resto il pubblico non aveva ancora finito di lamentarsi per la chiamata. Williams aveva visto il gesto e sbagliando il servizio si era poi appellata all’arbitro per ripetere la prima. Fransson non aveva notato la mano di Henin, e quindi si era rivolto a lei per conferma. Henin non aveva detto nulla, costringendo di fatto l’arbitro a negare a Williams un nuovo servizio. Henin aveva poi vinto il punto, il successivo e i due dopo ancora, ottenendo il break e vincendo il game al servizio per salire sul 4-4. Sul 5-5, aveva di nuovo strappato il servizio a Williams in un game di dieci punti. Con un pallonetto d’autore e un paio di servizi potenti, aveva poi chiuso la partita per 6-2, 4-6, 7-5.
A cose fatte, Williams era scoppiata in lacrime, dicendo che “non è stato lo spartiacque della partita, avrei dovuto comunque vincere quel game. Però mentire e offuscare la realtà non è corretto”. La risposta di Henin? “Non era pronta a giocare il punto. L’arbitro è lì apposta per gestire questo tipo di situazioni, ho solo cercato di rimanere concentrata e non badare al resto”. Non aveva completamente torto, è il lavoro dell’arbitro. Ma le regole non scritte del tennis lasciano intendere l’applicazione di un ragionevole livello di sportività. In una scala da 1 a 10, diciamo che lo standard minimo accettabile è 3. Il silenzio di Henin in campo e il successivo scarico di responsabilità si qualifica come 1, forse 1.5 se ci si sente generosi. Aveva continuato: “È molto importante focalizzarsi sulle cose positive della partita e provare a dimenticare questo tipo di situazioni”. Per lei era sì importante, visto che aveva un’altra partita da giocare, la finale contro la compatriota Kim Clijsters, che avrebbe battuto conquistando il primo Slam. Henin era riuscita ad archiviare la diatriba, ma la sua reputazione non si sarebbe mai ripresa. Negli anni a venire, avrebbe aggiunto molta benzina sul fuoco. Nessuno metteva in discussione la determinazione, e anche i detrattori più accesi rimanevano senza parole di fronte al rovescio a una mano. Sembrava semplicemente che la sua voglia di vincere la portasse ben oltre il traguardo. In alcuni sport, aggirare le regole fino a risultare disonesti è fonte di celebrazione: il tennis non è tra questi.
Litania di offese
Nei giorni migliori, Henin era la giocatrice più eccitante dell’intero circuito, un’attaccante di soli 167 cm che Martina Navratilova aveva soprannominato ‘la versione di Roger Federer al femminile’. John McEnroe riteneva il suo rovescio a una mano il più bello ed efficace in circolazione, uomini compresi. Ma poi c’erano anche gli altri giorni: li rovescio era sempre scoppiettante, quando però offendeva l’avversaria, nessuno parlava più dei suoi colpi. E, a questo riguardo, la semifinale del Roland Garros 2003 non era di certo stato l’ultimo episodio. Affrontiamo insieme la processione.
Appena dopo aver perso 6-3 contro Clijsters il primo set della finale dell’Acura Classic a San Diego sempre nel 2003, interrompe la partita per cinque minuti per farsi cambiare una benda al piede. Alla ripresa, vince i due set successivi per 6-2 6-3. Clijsters commenta: “Non è la prima volta che lo ha fatto, anzi credo abbia dovuto farlo in tutte le nostre partite, ed è un segno che non è al meglio e che quindi deve trovare altri sistemi per tirarsene fuori”. Anche qui, siamo perfettamente nella regola. Non credo che qualcuno, nel 2022, possa anche solo notare un’interruzione di 5 minuti tra un set e l’altro, eppure Clijsters era ben lontana dalla giocatrice che si lamenta delle avversarie o cerca scuse per una sconfitta. Ma la stessa lamentela sarebbe riemersa a più riprese e le due connazionali non sarebbero sempre riuscite ad arginare il lato più oscuro della loro personale rivalità. A seguire, la finale degli Australian Open 2004, contro la solita Clijsters la quale, nel tentativo di salvare una palla break, colpisce una volée di dritto che sembra toccare la linea. Immediatamente Henin segnala che secondo lei invece è fuori e l’arbitro Sandra de Jenken, in assenza di una chiamata del giudice di linea, deve darle ragione. Henin finisce per fare il break e, come Williams a Parigi, Clijsters soccombe. Dopo soli cinque punti, Henin può sollevare il trofeo. Questa volta c’è più ambiguità: non è assodato che de Jenken abbia cambiato decisione come diretto risultato del gesto di Henin. È molto fastidioso quando giocatrici e giocatori prendono il controllo della situazione elevandosi a giudici, ma non è insolito. Senza la tecnologia HawkEye, o almeno un’angolazione televisiva migliore, si fatica a giudicare.
Nel 2004 salta gran parte della stagione per un virus, e il rientro nel 2005 è al rallentatore a causa di un infortunio al ginocchio. Una volta guarita, inanella 24 vittorie di fila sulla terra, tra cui il secondo Roland Garros, però poi è ancora a mezzo servizio per via di un tendine. Si qualifica per le Finali di stagione ma decide di non partecipare. Peter Bodo si fa portavoce della fazione anti Henin: “Quest’ultimo episodio è solo parte di una saga in divenire, in cui Justine fa quello che le gira con poca attenzione alle possibili conseguenze, ricorrendo al grido ‘oh misera me!’ senza alcun freno. Il rischio più grande, fuori dal tennis, è quello di una giocatrice irrimediabilmente avviata verso la peggiore espressione di sé”. Nel caso non fosse abbastanza chiaro, aveva poi definito Henin una ‘nanerottola matta’. Probabilmente questo è andare un po’ oltre, specialmente in relazione alla decisione di una giocatrice di recuperare a seguito di un infortunio recente. Ma Bodo era solo all’inizio. Agli Australian Open 2006, Henin si macchia di quello che avrebbe definito ‘il più significativo e flagrante atto di scarsa sportività che abbia mai visto in quasi trent’anni in cui seguo il tennis’. La trasgressione? Ritirarsi dalla finale degli Australian Open concedendo ad Amelie Mauresmo una vittoria ridotta per 6-1 2-0. A meno di non aver seguito il tennis in quel periodo, è difficile rendersi conto della portata della disapprovazione viscerale degli addetti ai lavori. Pam Shriver disse che la reputazione di Henin ‘era definitivamente compromessa’. Bud Collins — un tempo voce amica che aveva soprannominato Henin ‘il piccolo rovescio che ce l’ha fatta’ — scrisse che aveva lasciato l’amaro in bocca e infangato il movimento.
La difesa di Henin: “Ero in riserva di energie e con forte mal di stomaco”. Si trattava di una pillola dura da mandare giù per una platea mondiale che, appena quattro punti prima del ritiro, aveva visto Henin uscire vincitrice da un estenuante scambio di 32 colpi. So di continuare a ripetermi, ma Henin era nel pieno dei suoi diritti. Non esiste una legge che dice che una giocatrice infortunata, per quanto minimo sia il problema, deve rimanere in campo per onorare l’importanza del momento, la quantità di spettatori o l’esultanza che merita l’avversaria dopo aver chiuso la palla match. Apparentemente però, Henin era l’unica nel mondo del tennis inconsapevole della regola non scritta: non si fa una cosa del genere in una finale Slam. Il prezzo da pagare per Henin in quella circostanza fu alto. Cinque mesi dopo, si ritrovava Mauresmo in finale a Wimbledon. Forse avrebbe vinto comunque, ma il ritiro a Melbourne certamente diede a Mauresmo quel pizzico di motivazione in più. Wimbledon rimase l’unico Slam mai vinto da Henin.
Il punto è chiaro: ci sarebbe stata un’altra mezza dozzina di episodi minori di cui la stampa avrebbe parlato e certamente molti di più che non andarono oltre il gossip di spogliatoio. Agli US Open 2006, Henin affronta Jelena Jankovic in semifinale. Perde il primo set e si lamenta a lungo per il dolore quando è sotto di un break nel secondo. Da quel momento, Jankovic vince — tenetevi forte — zero game, zero! Apparentemente Henin non aveva nulla. Qualche anno dopo, Williams si scuserà con Jankovic per un fraintendimento durante la partita dicendole: “Non sono Justine”.
É un peccato che questi resoconti di interpretazioni ai limiti del regolamento e scarsa sportività ricoprano un ruolo così rilevante nell’impatto di Henin sul tennis. Molti tra i più grandi hanno visto i successi raggiunti venire offuscati da stupidaggini esterne al campo create da una narrazione giornalistica fuori controllo. Nel caso di Henin però, è difficile evitare di concludere che la sua determinazione l’ha spinta troppo oltre. Per una rivale di Williams e Maria Sharapova, campionesse la cui voglia di vincere poteva essere debordante, è un’affermazione di un certo peso. Le giustificazioni di Henin riuscivano a irritare alcune persone almeno tanto quanto i suoi comportamenti. Bodo aveva parafrasato il mantra di Henin così ‘devo pensare a me ora’. Sulla controversa chiamata nella finale degli Australian Open 2004, la scusa era stata “Avevo bisogno di vincere un game”. Non aveva manifestato alcuna compassione verso Mauresmo dopo averle negato il giusto festeggiamento a Melbourne. In tutte le trascrizioni di conferenze stampa che ho spulciato per questo profilo, non mi è mai capitato di leggere parole compassionevoli nemmeno per le altre sue vittime. Henin si era catapultata al vertice sentendosi un’oppressa e, per lei, era la spiegazione di tutto. In risposta all’accusa di aver finto un infortunio nella finale di San Diego 2003, aveva detto: “Credo che alcune non gradiscano che una giocatrice della mia statura, meno imponente della loro, sia fisicamente forte e in grado di muoversi da una parte all’altra del campo senza mai stancarsi”.
Un Wimbledon per il mio regno
Come per alcune delle sue affermazioni, anche il ritiro aveva lasciato perplessi. Poco prima del Roland Garros 2008, aveva annunciato di smettere, quando era la numero 1 del mondo e rinunciando all’opportunità imminente di vincere a Parigi per la quinta volta. Questa volta non la si poteva biasimare. Aveva racimolato sette titoli Slam e 117 settimane in cima alla classifica. Sharapova comprendeva: “Se a venticinque anni avessi vinto sette Slam, mi ritirerei anche io”. Non era durata come decisione però. Una combinazione del trionfante ritorno di Clijsters e di Federer che aveva completato il Grande Slam al Roland Garros l’aveva convinta a riprovarci. Se ci era riuscito Federer, forse lei avrebbe potuto vincere Wimbledon e completare anche la sua di raccolta. Aveva detto della prima parte di carriera, lasciando di stucco l’intera comunità tennistica: “Forse non ho lottato a sufficienza”. La Henin che si era ripresentata sul circuito nel 2010 era più addolcita e riflessiva. Jon Wertheim si era spinto a definirla ‘Justine Zen-in’. La potenza di gioco era la stessa di sempre. Quasi aveva vinto a sorpresa contro Clijsters nel primo torneo al rientro, battuto Elena Dementieva in quasi tre ore nel secondo turno degli Australian Open, e perso la finale contro Williams, che finalmente l’aveva sconfitta.
Il sogno di Wimbledon non si era realizzato. Aveva trovato Clijsters al quarto turno, e si era infortunata al gomito dopo aver vinto il primo set. Questa volta era tutto vero, un legamento rotto l’aveva poi tenuta fuori per tutta la stagione, di fatto concludendo il ritorno al tennis giocato. Aveva chiuso definitivamente agli Australian Open 2011. Quando nel 2007 aveva vinto il terzo Roland Garros di fila, in un’intervista le era stato chiesto di trovarsi un soprannome. Si era definita ‘la regina della terra battuta’. Se lo si intende nel senso che si sarebbe volentieri fatta strada fino in vetta con violenza e intrighi di corte, allora sì, era così. Ma una regina benevola non lo era proprio. ◼︎