Il più grande archivio italiano di analisi statistiche sul tennis professionistico. Parte di Tennis Abstract

Probabilmente il più grande archivio italiano di analisi statistiche sul tennis professionistico. Parte di Tennis Abstract

La sorprendentemente semplice verità sulle wild card

ULTIMI ARTICOLI

ULTIMI ARTICOLI

Pubblicato il 20 giugno 2019 su Tennis with an Accent – Traduzione di Edoardo Salvati

// Qualche giorno fa, Wimbledon ha annunciato le wild card per il torneo. Erik Jonsson dello svedese Tennisportalen ha scovato le “linee guida” per l’uso delle wild card, che si possono trovare qui in inglese.

La verità sulle wild card — che si inseriscono in una discussione più ampia sulle tensioni tra il cambiamento e la continuità nel tennis — è più semplice di quanto si possa pensare. Potrei lanciarmi in un’articolata predica sulla necessità di riformare il metodo di assegnazione. Da un lato, sostenendo un sistema che ricompensi il merito rispetto a uno discrezionale, dall’altro illustrando un piano d’azione in cinque punti. Potrei parlarne in differenti modi e da diversi angoli…manterrò invece semplicità e brevità d’esposizione.

Conflitto d’interessi

Chi perde al primo turno di uno Slam intasca quasi 50 mila dollari, garantendosi di fatto una buona dose di indipendenza economica per il resto dell’anno. Se gli organizzatori si ergono in sostanza a decisori di alcuni dei posti nel tabellone principale o nelle qualificazioni, a discapito di altri giocatori, si è di fronte a un enorme conflitto d’interessi in uno sport in un cui i guadagni arrivano dalle vittorie e non da uno stipendio.

Si è parlato molto del tema nelle ultime settimane, da Vasek Pospisil a Taylor Fritz fino a un podcast di Billie Jean King, ma anche altrove, e di quanti soldi ha bisogno di guadagnare un professionista per generare risparmio (o quantomeno rimanere a galla). I lauti, e direi giustamente lauti, premi partita di un primo turno di uno Slam, che con 128 giocatori è il torneo più grande nel tennis, rappresentano l’accesso principale alla stabilità finanziaria per l’intero circuito.

Sono i tornei dello Slam a offrire al maggior numero di giocatori l’opportunità migliore per aumentare il conto in banca e poter conseguentemente investire in supporto esterno nella forma di allenatori o di miglior accesso alla medicina sportiva. È un concetto questo generalmente conosciuto e compreso a tutti i livelli del tennis. Se vi era sfuggito, nessun problema, ora ne siete al corrente.

Quindi, tenendo semplicemente questo in considerazione, ci si chiede: è giusto che, dalla loro posizione di immensa autorità, i quattro Slam abbiano la facoltà di scegliere chi entra nel tabellone principale o nelle qualificazioni, in funzione di tutto quello che sappiamo della struttura di governo nel tennis, dell’apparato amministrativo, del calendario, della dirigenza e degli aspetti economici?

Come le semifinali in due sessioni

La ritengo una domanda retorica, ma voglio dimostrare la tesi con un esempio altrettanto immediato.

Parlo spesso di un mio vecchio nemico, le semifinali in due sessioni separate. Al Roland Garros non si sono avute due sessioni separate per le semifinali in senso letterale, ma abbiamo visto come, in un contesto diverso, le pecche del calendario hanno creato una situazione di squilibrio tra i due finalisti del tabellone maschile, con un Rafael Nadal più riposato e un Dominic Thiem più stanco.

Nadal (per ripetere quanto scritto nel giorno della finale) è stato il più forte, meritando di vincere. Eppure, aver notato l’esistenza di un programma non equilibrato fa sorgere (e lo farà sempre) il dubbio se il risultato sarebbe potuto essere diverso in circostanze di mitigazione della stortura.

È questo l’aspetto basilare delle semifinali giocate in sessioni separate. Non determinano necessariamente il nome del vincitore o dello sconfitto, ma quasi sempre portano a interrogarsi su cosa sarebbe successo a ruoli invertiti, con il giocatore A nella seconda partita a tarda serata e il giocatore B nella prima partita del pomeriggio.

Una coltre d’incertezza

Il punto in questione non è che la programmazione ha deciso l’esito delle partite, ma che ha contribuito a generare una coltre d’incertezza sul risultato finale. Non ci dovrebbe essere una coltre d’incertezza nel tennis (e in nessun altro sport), se si può ragionevolmente evitare di crearla. In poche parole, le wild card creano questo tipo di coltre d’incertezza sui giocatori che cercano di sopravvivere nel circuito.

Questo giocatore, secondo uno standard largamente arbitrario, riceve il premio partita del primo turno, mentre quell’altro non è così fortunato. Ma non siamo già in presenza di uno sport in cui entità esterne possiedono un controllo troppo esteso sui giocatori e sulle circostanze e condizioni di gioco?

Dovremmo smettere di avere questa coltre d’incertezza per la quale giocatori come Nicolas Mahut non ricevono una wild card per il tabellone principale (evidentemente l’epica maratona contro John Isner non gli ha conferito abbastanza leva al riguardo), rispetto a chi invece beneficia di questo prezioso lasciapassare a fronte di risultati sul campo obiettivamente inferiori.

Integrità e correttezza

Si è consapevoli che uno sport possiede relativamente più integrità e correttezza quando è legittimamente impossibile contestare motivazioni o procedure alla base dei criteri di ammissibilità ai tornei più prestigiosi.

Il tennis avrebbe relativamente più integrità e correttezza se le wild card venissero abolite e le sole determinanti dell’accesso al tabellone fossero la classifica o le vittorie. Allo stato attuale invece, chiunque può legittimamente contestare le decisioni che vengono prese, soprattutto dai quattro tornei principali.

Per questo la problematica delle wild card non ha bisogno di un piano d’azione in cinque punti o di un lungo elenco di sottili spiegazioni. Semplicemente, è uno strumento da abolire, così da poter rimuovere la coltre d’incertezza che gravita sul Wimbledon Village e sulla sede degli altri tre Slam. ◼︎

The surprisingly simple truth about wild cards

DELLO STESSO AUTORE