Il più grande archivio italiano di analisi statistiche sul tennis professionistico. Parte di Tennis Abstract

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I 128 del tennis — #84, Lleyton Hewitt

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Pubblicato il 17 maggio 2022 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati

A inizio anno, Jeff Sackmann si è imbarcato in un immenso progetto di elaborazione di una classifica dei 128 giocatori e giocatrici più forti di tutti i tempi, ponendosi l’obiettivo di terminare a dicembre 2022. Con una media di più di 2000 parole per singolo profilo, si tratta di una vera e propria enciclopedia di chi è chi nel tennis, dalla sua nascita a oggi. Per limiti di tempo e più evidenti limiti di talento, settesei.it propone una selezione delle figure maggiormente rappresentative per vicinanza d’epoca e notorietà, n.d.t.

Lleyton Hewitt [AUS]
Data di nascita: 24 febbraio 1981
Carriera: 1986-2016
Gioco: destro (rovescio a due mani)
Massima classifica ATP: 1 (19 novembre 2001)
Massima valutazione Elo: 2192 (primo nel 2002)
Slam in singolo: 2
Titoli ATP in singolo: 30

// Era impossibile non farsi un’opinione su Lleyton Hewitt. Nel 2002, quando aveva in mano il tennis mondiale, Billly Jean King diceva di lui: “Come si fa a non amarlo? È un esempio incredibile per noi che non siamo alti come colossi. Dà speranza a tutti di poter giocare di nuovo a tennis, perché lui lo ama così profondamente, ama ogni scambio, sembra che dica ‘datemi solo la palla’…Dio, lo adoro. Come si fa a non adorarlo?

In molti avevano una risposta pronta alla domanda di King. Nel 2003, Simon Barnes esprimeva sul London Times il dissenso di tanti appassionati, crogiolandosi nell’uscita di Hewitt al primo turno di Wimbledon: “Si mostra — e si comporta — come se avesse lasciato lo skateboard parcheggiato fuori. È il campione meno popolare dai tempi in cui nel 1974 Jimmy Connors si atteggiava a ragazzino viziato, e ha l’aria del soldatino ostracizzato dagli altri soldatini perché lo ritengono un po’ troppo fanatico”.

In parte, il problema arrivava dall’essere diventato una stella così da giovane. È raro trovare un adolescente che, al centro di un palcoscenico mondiale, non si comporti in modo infantile. A diciotto anni, aveva dato dello stupido al pubblico australiano. Due anni più tardi, aveva appellato l’arbitro Andreas Egli con il termine “spastico”, scusandosi in uno dei peggiori modi nella storia delle scuse meno convincenti da parte di un atleta professionista: “Se l’ho detto, non è certamente qualcosa di cui vado orgoglioso. Chiedo scusa a chiunque d’interesse”. In un’altra occasione, aveva lasciato intendere che il giudice di linea nelle chiamate era a favore di James Blake perché entrambi di colore nero. Odiava l’abitudine di applaudire l’avversario di fronte a un colpo magistrale. Continuava a gridare ‘andiamo’, ogni due secondi stando a Greg Rusedski, anche se il punto terminava con un errore dell’avversario. Quando nel 2005 Juan Ignacio Chela gli aveva sputato al cambio di campo, tutti sapevano che era sbagliato…ma tutti lo avevano compreso.

Molti dei colleghi erano cauti nel distinguere tra la personalità di Hewitt in campo e quella fuori dal campo. Lontano dai momenti più accesi della competizione mostrava anche un lato affabile, quantomeno in assenza di giornalisti. Ma quando la partita era sul filo, nelle parole di Roy Emerson, “gioca ogni punto come se fosse la Seconda Guerra Mondiale”. Inevitabilmente, qualche vittima emergeva. A nessuno piaceva doverlo affrontare, in parte per la ruvidità, in parte perché Hewitt solitamente vinceva. Era impossibile però non portare rispetto per il modo in cui giocava a tennis.

Surfista o skater? No, tennista

La prima idea che ci si poteva fare di Hewitt non era proprio quella di un giocatore di vertice: con “solo” 178 cm di altezza, all’ingresso sul circuito da sedicenne che non le manda a dire pesava a malapena 60 kg. Gli addetti ai lavori erano incerti se somigliasse più a un surfista o a uno skater. Vince Spadea, avversario di Hewitt nei quarti di finale del torneo di Adelaide 1998, lo vedeva “senza esperienza, improvvisato e grossolano”. Tre set più tardi, Spadea rientrava negli spogliatoi con Hewitt in direzione della semifinale, dove aveva vinto ancora in due tiebreak contro un Andre Agassi fuori forma. In finale, aveva vinto il torneo al tiebreak del terzo set contro il compatriota Jason Stoltenberg.

Nel corso degli anni, Hewitt è stato spesso criticato per la sua apparente arroganza, ma come dice il grande giocatore di baseball Dizzy Dean, se riesci a farlo significa che non te la stai tirando. Hewitt è stato il terzo giocatore più giovane a vince un titolo ATP, dietro solo a Aaron Krickstein e Michael Chang. Ed è stato solo l’inizio. Nel 1999, vince sei volte contro giocatori tra i primi 10 e vince quattro sfide di Coppa Davis in singolo contribuendo alla vittoria dell’Australia. Inizia la stagione 2000 con tredici vittorie di fila in casa, poi batte Pete Sampras nella finale del Queen’s Club e arriva in semifinale agli US Open. Diventa il giocatore più giovane a qualificarsi per le Finali di stagione, dove batte di nuovo Sampras. Nel 2001, nessuno sottovaluta più il giovane sfrontato Hewitt. Dopo aver vinto a Sydney, al Queen’s Club e a ’s-Hertogenbosch, gioca la prima finale Slam agli US Open, dove demolisce Sampras 7-6(4) 6-1 6-1. Alle Finali di stagione è uno schiacciasassi, vincendo cinque volte in una settimana con soli due set persi. All’età di 20 anni e 9 mesi, diventa il più giovane numero 1 nella storia dell’ATP (fino a quel momento).

Sampras è stato uno dei più forti giocatori di sempre al servizio, perdendo raramente set con il punteggio di 0-6 o 1-6. Prima della finale degli US Open 2001, gli unici a strappargli set così a senso unico erano stati Agassi e lo stesso Hewitt. Di Agassi era noto che sapesse rispondere come Hewitt, il quale però si muoveva meglio in campo. Dopo quella finale persa, Sampras ha commentato: “Il ragazzino è così rapido, quasi da non crederci”. Ecco qualche dato dell’incredulità: prima della finale, Sampras aveva tenuto il servizio per 87 game di fila, di cui 24 contro Agassi nei quarti. Hewitt aveva fatto il break sei volte in finale. Nelle prime sei partite, Sampras aveva vinto il 73% dei punti al servizio, contro Hewitt meno del 55%.

L’estate successiva a Wimbledon, Hewitt aveva riproposto la stessa magia. David Nalbandian, il suo avversario in finale, era un altro giocatore da fondo, senza però l’arma del servizio come Sampras. Nelle prime sei partite, aveva vinto il 63% dei punti al servizio, ma aveva ricevuto da Hewitt lo stesso trattamento, non andando oltre un patetico 44% e subendo il break otto volte. Una finale improbabile sull’erba senza che nessun giocatore avesse seguito a rete il servizio nemmeno una volta, si era conclusa in meno di due ore con il punteggio di 6-1 6-3 6-2 per Hewitt. Sampras e Nalbandian non dovevano prendersela, perché in risposta Hewitt faceva male a chiunque. Tra il 1999 e il 2002, Hewitt ha ottenuto il break in almeno 187 partite consecutive: è una sequenza che potrebbe essere di 230 partite, se si riuscisse a stabilire se ha fatto il break anche contro Sebastien Grosjean in una sfida della Coppa Davis 1999 a risultato ormai acquisito. In ogni caso, è la striscia di questo tipo più lunga nei trenta e passa anni da quando l’ATP raccoglie statistiche sulle palle break.

La forza nella risposta

Meno chiaro è come Hewitt ci sia riuscito. Nella sua autobiografia, Sampras scrive: “Era molto dura fargli servizi vincenti, o ace”. Eppure nella finale degli US Open 2001, Sampras aveva fatto ace per più del 10% dei servizi, inferiore alla sua media ma non di molto. Roger Federer ha servito ace contro Hewitt con una frequenza del 12%, migliore rispetto a quella contro il circuito in generale.

Nel Match Charting Project ci sono al momento 120 partite di Hewitt: non è un campione casuale, perché c’è una distribuzione a favore di finali e ultimi turni degli Slam contro avversari di qualità che tende a sottostimare il suo rendimento complessivo. In quelle partite, la sua risposta è entrata in campo solo il 67.6% delle volte, una frequenza a suo tempo, e anche attualmente, più bassa della media. A Hewitt però non interessava semplicemente rimandare la palla oltre la rete. Come per Agassi, la posizione di Hewitt alla risposta era di natura aggressiva, mettendo in conto di non riuscire a rispondere ad alcuni servizi. Quelli che prendeva però, ritornavano al mittente con gli interessi. Sampras non era l’unico a ritenere che fosse particolarmente ostico fare ace a Hewitt, o che le palla rimanesse in gioco alla risposta molto più spesso. Ma è comprensibile che gli avversari lo sottostimassero. Agassi lo considerava “tra i migliori della storia nella scelta dei colpi”, e parlava a ragion veduta. La capacità e il talento di Hewitt erano bastati a porre fine al dominio del servizio e volée a Wimbledon e ad alterare la traiettoria del tennis, come movimento.

Al ritiro di Hewitt agli Australian Open 2016, Tom Perrotta di The Wall Street Journal si è espresso in questi termini sulla grandezza del suo passaggio nel tennis maschile: “Prima di Hewitt, c’era una divisione nitida tra giocatori difensivi e offensivi. Hewitt ha dato il via alla transizione che si è poi compiuta con giocatori come Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic. Al pari di Hewitt, sono in grado infatti di difendere con scatti potenti e rapidità di braccio, ma anche di attaccare da una posizione difensiva. E come Hewitt, non hanno evidenti punti di debolezza”.

Darren Cahill, che ha allenato anche Hewitt, ha detto a Perrotta: “I campioni del passato, in ogni epoca, avevano sempre un punto attaccabile. Il rovescio di Sampras non era granché, Agassi non era così solido sugli spostamenti. Prendi un qualsiasi giocatore e trovavi un punto debole, anche minimo, da poter sfruttare. In quel periodo, Lleyton non ne aveva”. Si potrebbe dire lo stesso di ciascuno dei Fantastici Quattro. E, da quanto visto soprattutto alla risposta, anche Carlos Alcaraz sembra essere fatto della stessa pasta. I migliori dell’epoca post Hewitt hanno certamente aspetti del gioco in cui eccellono e altri meno, ma non è più possibile arrivare in cima alla classifica con una vera zavorra come lo era il rovescio per Sampras.

Anche Federer costretto a cambiare

Hewitt ha avuto un impatto ancora più diretto sul tennis moderno, perché ha costretto Federer a sviluppare lo stile di gioco che gli ha poi consentito di vincere 20 Slam. Hewitt ha solo sei mesi in più di Federer, ma all’inizio della loro rivalità era lui a comandare. Vince infatti le prime tre partite e, dopo la vittoria al quinto set nelle semifinali di Coppa Davis 2003, negli scontri diretti è avanti 7-2. In quel periodo, Federer usava più spesso il servizio e volée, oltre a venire a rete con colpi di approccio non del tutto convincenti. Funzionava abbastanza bene — del resto era il numero 3 del mondo — ma non contro Hewitt. Federer ha dichiarato che “Lleyton mi ha portato a rivedere il mio gioco”. Dal 2004, Federer ha vinto le successive 15 partite tra i due. In alcune il punteggio è stato ravvicinato, come il quarto set negli Slam in tre diverse occasioni, ma il risultato non era mai in dubbio. In nessuna di quelle partite Hewitt ha vinto più del 48% dei punti giocati.

Più dati dal Match Charting Project mostrano come Federer abbia cambiato tattica per risolvere il grattacapo Hewitt: ha seguito il servizio sempre meno e ha scelto con molta più cautela modo e momento dell’approccio a rete.

Partita            Vincitore   S&V%   Fed App%  
2002 Masters Cup   Hewitt      16%    26%  
2003 Davis Cup     Hewitt      24%    23%  
2004 Aus Open      Federer     7%     19%  
2004 Wimbledon     Federer     9%     19%  
2004 US Open       Federer     7%     19%  
…                                          
2005 Wimbledon     Federer     3%     9%

L’ultima colonna si riferisce agli approcci a rete di Federer come percentuale dei punti totali giocati. Già dal 2005, e anche sull’erba di Wimbledon, Federer aveva imparato a non sfidare Hewitt se non con un colpo di approccio sicuro.

È strano pensare che un ruvido adolescente campione si trasformi in uno dei grandi saggi del tennis, ma gli appassionati tendono a portare in palmo di mano chiunque rimanga sul circuito sufficientemente a lungo. Hewitt ha lasciato il professionismo agli Australian Open 2016, otto anni dopo un infortunio all’anca che di fatto aveva posto fine alla possibilità di un rientro al vertice. E quello che una volta era “irritante” è diventato “senza fronzoli” e l’atteggiamento in campo che veniva giudicato “detestabile” è stato riformulato in “focoso”. Quando rappresentava il suo paese, l’agonismo di Hewitt raggiungeva vette d’intensità: ha avuto un ruolo chiave nelle vittorie in Coppa Davis del 1999 e del 2003, e ha giocato fino al 2015, scegliendosi anche per il doppio dopo essere diventato capitano della squadra. Insieme a John Peers ha costretto i fratelli Bryan al quinto set nel 2016, e due anni dopo hanno anche vinto una partita. A inizio carriera ha affermato che “nella decisione di quali tornei fare durante la stagione, la Coppa Davis è il primo della lista”. Non si è mai tirato indietro da quell’impegno, e detiene praticamente tutti i record australiani: ha giocato 40 sfide, vincendo 42 partite in singolo e altre 16 in doppio.

Nessuno lo paragonava più a un surfer o a uno skater ma, con l’avvicinarsi del ritiro, Hewitt rimaneva lo stesso giocatore che era sempre stato. Wally Masur, capitano di Coppa Davis prima di lui, ha detto nel 2015: “Il primissimo punto che gli ho visto giocare è stato agli US Open juniores, e da li non è cambiato di una virgola. Arriva sempre carico di entusiasmo…Ero solito dire ‘quale sia l’opinione che avete di Lleyton, vi restituisce l’intero valore del prezzo che avete pagato per vederlo’”. Impossibile dimenticarsi di come giocava Hewitt agli inizi e al massimo e quanto questo incidesse sull’avversario. Ha commentato Federer all’ultima presenza di Hewitt a Wimbledon: “Mi è sempre piaciuto vederlo giocare. Affrontarlo è stato a volte molto divertente, altre un po’ meno”. ◼︎

The Tennis 128: No. 84, Lleyton Hewitt

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