Pubblicato il 15 ottobre 2022 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati
A inizio anno, Jeff Sackmann si è imbarcato in un immenso progetto di elaborazione di una classifica dei 128 giocatori e giocatrici più forti di tutti i tempi, ponendosi l’obiettivo di terminare a dicembre 2022. Con una media di più di 2000 parole per singolo profilo, si tratta di una vera e propria enciclopedia di chi è chi nel tennis, dalla sua nascita a oggi. Per limiti di tempo e più evidenti limiti di talento, settesei.it propone una selezione delle figure maggiormente rappresentative per vicinanza d’epoca e notorietà, n.d.t.
Boris Becker [GER]
Data di nascita: 22 novembre 1967
Carriera: 19874-1999
Gioco: destrimane (rovescio a una mano)
Massima classifica ATP: 1 (10 aprile 1995)
Massima valutazione Elo: 2320 (primo nel 1989)
Slam in singolo: 6
Titoli ATP in singolo: 49
// Tutto quello che Boris Becker ha fatto, lo ha fatto in grande. Quando da diciassettenne è comparso per la prima volta a Wimbledon nel 1985, non si è solo fatto strada a suon di servizi, ma ha vinto l’intero torneo! In un terzo turno molto equilibrato contro Joakim Nystrom ha servito 37 ace. Contro Kevin Curren in finale, è andato a rete con il servizio 112 volte, vincendo 84 punti. Una sola volta è rimasto a fondo campo, è ha vinto anche quel punto. I tifosi francesi iniziarono a chiamarlo ‘le grand méchant loup’, il grande lupo cattivo. Una corporatura di 188 cm e 80 kg non era di per sé schiacciante, ma si muoveva con una spavalderia debordante ben prima che l’intimidazione diventasse parte esplicita della sua strategia. Il servizio andava oltre una possibile definizione: elettrizzante, paralizzante, semplicemente micidiale? Un mese dopo la vittoria a Wimbledon, Arthur Ashe aveva commentato: “Non c’è mai stato un prodigio nel tennis di questa portata. Becker è come un giocatore liceale nella NBA. Becker è come un giocatore liceale nella NBA. Non ha ancora mostrato tutto il potenziale, eppure spaventa a morte con la sua potenza. È terribile dover giocare contro qualcuno che non solo è così forte, ma è altrettanto imprevedibile. Colpisce la palla con più violenza di chiunque, ma riesce a tenerla in gioco sempre”.
La grandezza di Becker non era solo opera sua. Aveva resuscitato il tennis tedesco, raggiungendo l’olimpo prima ancora di Steffi Graf, e per questo la copertura mediatica era stata istantanea e onnicomprensiva. A metà del 1986, il 98% degli abitanti della Germania Ovest conosceva il suo nome. Solo la Volkswagen lo precedeva. Anche dopo il ritiro, era una celebrità senza eguali. Un dirigente di marketing ne aveva paragonato la fama a quella di Michael Jordan negli Stati Uniti. Rispetto alla dimensione del mercato casalingo, Becker potrebbe essere stato un nome con maggiore risonanza. Le attenzioni, e la pressione che ne derivava, erano diventate la sua ombra. Quando perdeva, i giornali tedeschi ne parlavano come un disastro e i passaggi a vuoto assumevano proporzioni epiche. Di converso, la sicurezza di sé oltrepassava lo sport. Agli occhi dei detrattori, non era semplicemente desideroso del proscenio, ma un filosofeggiare immaturo lo aveva reso il più buffone del gioco. Ancora oggi agisce senza mezze misure. Sono molti gli atleti con un atteggiamento eccessivamente disinvolto verso il loro patrimonio. Becker ci è finito in prigione. Questo però è venuto dopo, perché a metà degli anni ’80 Becker era l’uomo che ha salvato il tennis.
L’aspetto più ragguardevole della vittoria di Becker a Wimbledon 1985 senza la testa di serie è che non è stata per nulla sorprendente. Aveva infatti vinto il Queen’s Club, canonico torneo di preparazione, perdendo un solo set, battendo nei quarti Pat Cash, tra i primi 10, e sbarazzandosi velocemente di Johan Kriek in finale. Kriek aveva predetto che Becker avrebbe vinto anche Wimbledon, ma nessuno aveva capito se stesse in realtà scherzando. Il primo turno a Wimbledon era contro il veterano americano Hank Pfister, che si era aggiudicato il primo set, per poi venire schiacciato negli altri tre. Pfister definiva la potenza di Becker ‘oscena’ e non pensava che fosse pronto ad arrivare fino in fondo. Però aveva detto: “Ma forse sì, perché prima o poi dovrà vincerlo”. Giunti al penultimo turno, non c’erano più segreti. Curren aveva vinto la semifinale d’apertura e incrociato poi le dita che la quinta testa di serie, Anders Jarryd, emergesse vittoriosa. Ma così non era andata: lo svedese aveva vinto il primo set e forzato un tiebreak nel secondo, poi non c’era stata storia.
Becker era una ventata di aria fresca in un’edizione dei Championships altrimenti in tono minore. Ivan Lendl, testa di serie numero 2, aveva perso al quarto turno contro Henri Leconte e sia John McEnroe che Jimmy Connors erano usciti mollemente per mano di Curren. Becker era un volto nuovo, il suo gioco eccitante e libero, e dominava. Curren lo aveva commentato così: “Ha giocato come se si trattasse di un primo turno”. Il giovane campione faceva sembrare tutto facile. Leconte aveva detto: “Boris non ci pensa, gioca e basta. Il suo piano è semplice: colpire la palla, tirare un vincente, vincere, ringraziare e salutare”. Era davvero quasi così semplice. Nel 1985 aveva vinto altre 25 partite e a ottobre era entrato nei primi 5. Aveva perso tre volte contro Lendl, ma sarebbe passato poco tempo prima che lo battesse. Ancora più importante, aveva vinto sette partite di fila e un paio di doppi per portare la Germania Ovest a un passo dalla conquista della Coppa Davis. Nonostante avesse sconfitto Mats Wilander e Stefan Edberg in finale, sarebbero serviti altri tre anni prima che la Germania sollevasse quella coppa.
In compagnia del Conte Dracula
Sorpresi dalla preveggenza di Kriek, Pfister e gli altri? Allora devo parlarvi di Ion Tiriac! Se vi è capitato di leggere I 128 del tennis dall’inizio, sapete che non perdo l’opportunità di citare Tiriac. Nessuno è come lui. Il rumeno è stato un giocatore di hockey su ghiaccio a livello olimpico prima di diventare campione nazionale di tennis, mettendo insieme una solida carriera sul circuito tra gli anni ’60 e ’70 grazie a un’etica lavorativa impeccabile e una destrezza mentale da attore di cabaret. Si è definito il più grande di quelli che non sapevano giocare. Tiriac — il Conte Dracula, il Bulldozer di Brasorv, il Doom Doom opposto al Bum Bum di Becker — è diventato uno dei più astuti conoscitori di tattiche e scopritori di talenti nel tennis. Ha portato Ilie Nastase tra i primi 10, guidato la carriera di Manuel Orantes, Adriano Panatta, Guillermo Vilas e Leconte. Si è imposto come una potenza del dietro le quinte tennistico, con una provenienza atipica e maniere irriverenti ad aumentarne l’aura. John McPhee ha scritto che Tiriac possiede la presenza di un uomo che sta per concludere un affare in uno scantinato posto dietro a un altro scantinato. Becker era arrivato alla finale degli US Open juniores nel 1984 e, naturalmente, Tiriac era a disposizione. Lo erano anche altri super-agenti e pretendenti tali. Ma la maggior parte di loro non era lì per Becker, attratti invece da un giovane australiano di nome Mark Kratzmann che poteva vincere il suo terzo Slam juniores dell’anno. Così accadde, Kratzmann vinse in due set e venne reclutato da Mark McCormack di IMG. Tiriac si prese Becker, ma non si trattava di un premio di consolazione, perché era una relazione già avviata. Tiriac infatti era stato a Leimen, la cittadina in cui era cresciuto Becker, aveva incontrato i genitori e intrattenuto tutta la famiglia con il suo charme — eh sì, perché il Bulldozer sa anche intrattenere con charme. Becker aveva detto: “Ci ha raccontato come sarebbero andate le cose, e le cose sono andate proprio in quel modo”. L’atteggiamento intimidatorio di Becker deriva anche da quello del suo manager. Ashe descrisse il metodo di Tiriac nei confronti delle giovani promesse: “Fa sempre leva sui punti di forza, gli fa credere di essere i migliori del mondo in almeno un aspetto del gioco, in modo da usarlo come intimidazione, come forza. Che sia la velocità di Nastase, la resistenza di Vilas — lo convinse che nessun altro poteva rimanere a lungo in campo come lui — e la potenza di Becker. Ascoltatelo mentre instilla sicurezza nei suoi protetti”. Dracula lo faceva sembrare ovvio: “Dico a Boris che il gioco è troppo facile quando uno dei due è il più forte”.
Per un po’ di tempo rimase facile. Nel marzo 1986, Becker aveva vinto contro Lendl per la prima volta in cinque tentativi, nel torneo di Chicago giocato sul tappeto. Poi, lo aveva spazzato via a Wimbledon con una prestazione così schiacciante da risultare quasi noiosa. Aveva difeso il titolo perdendo solo due set. Lendl era uno dei pochi sul circuito a poter contrastare l’offensività di Becker. Durante la loro prima partita nel 1985, si era messo sei metri dietro la riga di fondo per rispondere al servizio. Ma, specialmente sull’erba, non era sempre sufficiente. Qualche anno dopo aveva detto: “Becker è sempre più potente, rimane a fondo e ancora a fondo e all’improvviso colpisce forte”. Aggiungeva Andre Agassi: “Se Becker è in palla, mi spiace ma non c’è speranza”.
Aveva terminato il 1986 secondo, dietro a Lendl. Difficilmente la sua stella avrebbe potuto splendere di più, e l’immagine era quella del bravo ragazzo, certamente un bonus della relazione con Tiriac, la cui reputazione non del tutto cristallina lo rendeva il naturale parafulmine per quando la stampa tirava fuori i dettagli più controversi. Gettoni presenza astronomici? Interviste a pagamento? Deve essere una scelta di Tiriac. La luna di miele con i tifosi si concluse a Wimbledon 1987. Becker aveva battuto Edberg per la settima volta di fila vincendo il titolo a Indian Wells e demolito Connors in finale al Queen’s Club. Ma il due volte vincitore di Wimbledon era uscito al secondo turno contro Peter Doohan, australiano numero 70 del mondo. La stampa tedesca non si era risparmiata nelle critiche. Con due Slam prima dei diciannove anni, Becker aveva stabilito degli standard altissimi e, pur raggiungendo la finale nelle successive quattro edizioni di Wimbledon, non avrebbe mai soddisfatto l’aspettativa di vittoria che si era creata a fronte dei trionfi iniziali. Di converso, quella sconfitta lo aveva umanizzato. Qualche anno dopo, Curry Kirkpatrick di Sports Illustrated gli aveva dedicato un intero articolo, partendo dal fatto che Becker fosse il più affabile nelle sconfitte. Citava direttamente Becker: “Quando perdo, mi rendo semplicemente conto che l’avversario è stato più forte, e volto pagina. La prossima volta lo batterò io. Credo che uno dei miei punti di forza sia quello di riuscire a stare lontano dalla smisurata convinzione di quanto forte tutti pensano che io sia: so di dover lavorare duramente per stare al livello di alcuni altri”. Ancora più impressionante era il fatto che non si trattava solo di parole. Becker si congratulava post sconfitta con l’avversario, manifestava preoccupazione per chi si infortunava e rimaneva comunque a giocare il doppio anche dopo eliminazioni precoci in singolare. Lo spogliatoio era intimorito dalla potenza di Becker, che però si era guadagnato il rispetto dei colleghi. Accanto a un mesto Lendl, uno sbiadito Edberg e uno strambo McEnroe, Becker era l’uomo che tutti volevano come rappresentante del tennis.
Traiettorie terrene
Pur di fronte alle poche sconfitte, Becker non era mai diventato una macchina da vittorie come Lendl o McEnroe al loro apice e aveva ottenuto il massimo nel periodo tra il 1988 e il 1989. Dimenticato Doohan, Becker era tornato in forma sull’erba inglese nel 1988, battendo Edberg in finale al Queen’s Club e perdendo la finale di Wimbledon, sempre contro Edberg. Da lì aveva vinto quattro dei cinque tornei giocati, con la sola eccezione della sconfitta al secondo turno degli US Open, andando al riposo invernale con la vittoria della prima Coppa Davis per la Germania Ovest, senza perdere un set di nuovo contro Edberg. Il 1989 era andato ancora meglio. Con la finale di Monte Carlo, era risalito al numero 2 della classifica, e solo una sconfitta al quinto set gli aveva negato la finale del Roland Garros. Aveva poi battuto Lendl e Edberg per il terzo Wimbledon, e Agassi al quinto set in Coppa Davis a Monaco. Fino a quel momento, aveva espresso la sua grandezza sull’erba o sul tappeto veloce dei tornei al chiuso. Finalmente, aveva trovato la combinazione giusta anche sul cemento di New York, battendo ancora una volta di potenza Lendl nella finale degli US Open. Per Becker significava essere diventato un giocatore vero, uno in grado di vincere su diverse superfici. Il numero 1 non sarebbe arrivato prima dell’inizio del 1991, grazie a un’altra importante vittoria contro Lendl nella finale degli Australian Open. Con in tasca Wimbledon e gli US Open alla fine del 1989, e con anche la riconquista della Coppa Davis, aveva tutto il diritto di affermare d’essere il migliore del mondo.
Becker aveva appena compiuto 22 anni quando vinse la seconda Coppa Davis contro Edberg e Wilander. Per fama e ricchezza era già nella stratosfera, quindi è facile immaginare un universo parallelo in cui domina il circuito per altri cinque anni e racimola una dozzina di Slam. La realtà però si è mossa su traiettorie più terrene. Dal 1990, Becker si era dovuto accontentare di due Australian Open e altre tre finali a Wimbledon. Quella del 1991 era stata particolarmente dura da digerire, perché aveva perso contro Michael Stich, connazionale che considerava di molto inferiore. La sicurezza di Becker era parte del problema: non era mai stato un giocatore semplice da allenare e con il tempo era diventato ancora più ostico. Günter Bresnik, che si era unito al gruppo all’inizio del 1990, si era presto reso conto che Becker avrebbe introdotto novità solo nella convinzione che fossero una sua idea. Un altro che tentò di domarlo fu Nick Bollettieri, che disse di lui: “Sapeva molto; quello che non sapeva, pensava di saperlo comunque; e avrebbe intimorito le persone al punto di far credere loro che lo sapesse”. Per uno o due anni, aveva funzionato. Su un periodo più lungo, il circuito si era adeguato. Aveva vinto tre delle prime cinque partite contro Pete Sampras, un altro giocatore che faceva leva su un servizio potente e una volontà di ferro. Sampras però, come molti giovani che non avevano assistito direttamente all’ascesa di Becker, non ne era intimidito. Dal 1992, Sampras aveva vinto 11 partite su 15, tra cui tutte e tre le sfide a Wimbledon.
Allo stesso modo era frustrante la futilità di Becker contro Agassi. Aveva vinto le prime 3 partite guadagnandosi per un po’ il vero rispetto di Agassi, quello che aveva per limitati colleghi. La relazione si era incrinata all’aumentare della posta in gioco. Più significativo ancora ai fini dei risultati, Agassi aveva trovato un tallone d’Achille di natura tattica. Becker era solito tirare fuori la lingua durante il servizio. Agassi aveva compreso che la lingua puntava nella direzione in cui Becker aveva intenzione di servire. Se ne era avvantaggiato sporadicamente, in modo da non farlo notare, così sporadicamente che è dura far emergere dal loro record che fosse realmente un vantaggio per Agassi. Il punto è abbastanza chiaro però: dal 1990, degli 11 scontri diretti, Becker ne aveva vinto solo uno.
Sotto un certo punto di vista, l’incapacità di Becker di rimanere al vertice mina il suo riconoscimento come uno dei più forti di sempre. Sei Slam non sono nulla rispetto a quanto avrebbe potuto vincere. Di contro, è un elemento che non fa alcuna differenza. Becker rimarrà sempre il diciassettenne che si tuffa sull’erba di Wimbledon, il ragazzo d’oro che aveva incarnato tutto quello che è possibile fare su un campo da tennis. Il doppio degli Slam non lo avrebbe reso significativamente più ricco o famoso. Era un gigante prima di aver mai visto Sampras o Agassi sbucare all’orizzonte. Anche dal penitenziario HM Prison Huntercombe nell’Oxfordshire, Becker rimane un catalizzatore di attenzione (dopo aver scontato otto mesi per bancarotta, è uscito dal carcere il 15 dicembre 2022, n.d.t.). ◼︎