Il più grande archivio italiano di analisi statistiche sul tennis professionistico. Parte di Tennis Abstract

Probabilmente il più grande archivio italiano di analisi statistiche sul tennis professionistico. Parte di Tennis Abstract

I 128 del tennis — #47, Jennifer Capriati

ULTIMI ARTICOLI

ULTIMI ARTICOLI

Pubblicato il 16 settembre 2022 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati

A inizio anno, Jeff Sackmann si è imbarcato in un immenso progetto di elaborazione di una classifica dei 128 giocatori e giocatrici più forti di tutti i tempi, ponendosi l’obiettivo di terminare a dicembre 2022. Con una media di più di 2000 parole per singolo profilo, si tratta di una vera e propria enciclopedia di chi è chi nel tennis, dalla sua nascita a oggi. Per limiti di tempo e più evidenti limiti di talento, settesei.it propone una selezione delle figure maggiormente rappresentative per vicinanza d’epoca e notorietà, n.d.t.

Jennifer Capriati [USA]
Data di nascita: 29 marzo 1976
Carriera: 1990-2004
Gioco: destro (rovescio a due mani)
Massima classifica WTA: 1 (15 ottobre 2001)
Massima valutazione Elo: 2317 (quarta nel 1993)
Slam in singolo: 3
Titoli WTA in singolo: 14

// All’età di quattordici anni, Jennifer Capriati sognava che un giorno, camminando per la strada, avrebbe sentito i passanti dire quella è Capriati, la più grande giocatrice di tennis che sia mai vissuta. Non era certamente la prima atleta quattordicenne a fantasticare sul suo futuro, ma sembrava che le sue aspirazioni fossero le più realistiche. Un mese prima infatti, aveva giocato la finale del primo torneo da professionista, battendo Helena Sukova, tra le prime 10 e altre due giocatrici tra le prime 21 della classifica. Qualche settimana dopo, un’altra finale, questa volta permettendosi di rifilare agli ottavi un doppio 6-1 ad Arantxa Sanchez Vicario, numero 5. Rick Macci, uno dei suoi allenatori agli esordi, aveva affermato: “ve lo dico, fa paura”. Gli faceva eco Tracy Austin, anche lei un fenomeno da giovanissima, che la considerava la promessa migliore del tennis americano dai tempi di..beh..Austin stessa.

Nella prima stagione da professionista, Capriati era diventata la più giovane di sempre ad arrivare in semifinale al Roland Garros. Negli altri tre Slam, aveva raggiunto comunque la seconda settimana e, non avesse dovuto giocare contro Steffi Graf negli ottavi sia a Wimbledon che agli US Open, avrebbe potuto fare anche meglio. Era riuscita pure a vincere un set contro Graf alle Finali di stagione. Billie Jean King la considerava la giocatrice più potente di quell’età che avesse mai visto, senza paragoni, e pensava che solo Graf sul circuito riuscisse a colpire più forte. E forse Capriati a sua volta poteva diventare come lei. Di contro però, per tre decenni King aveva visto promesse andare e venire: “il secondo anno è quello pericoloso” aveva dichiarato a Sports Illustrated “nel primo sei fresca, nessuno ti conosce davvero. Poi le cose si complicano”. E le cose per Capriati si sarebbero complicate parecchio.

Inevitabili complicazioni

Facciamo un salto in avanti di undici anni, anni sottosopra e spesso dolorosi. A giugno 2001, ora venticinquenne, Capriati era a metà strada dal realizzare il Grande Slam. Agli Australian Open, in un’edizione decimata dagli infortuni, si presenta nella miglior forma di sempre. Dopo un quarto di finale pericoloso contro Monica Seles, elimina in due set Lindsay Davenport e regola allo stesso modo in finale una spenta Martina Hingis. Al Roland Garros, batte Serena Williams nei quarti, poi fa piazza pulita di Hingis in semifinale. La finale contro Kim Clijsters diventa una battaglia epica. In quattro diversi momenti, Clijsters è a due punti dal titolo, ma Capriati non cede e chiude per 1-6 6-4 12-10.

Sempre su Sports Illustrated, il giornalista S.L. Price conclude: “per quello che non si sapeva di lei allora e per quello che nessuno sapeva fino alle 16.58 a Parigi sabato scorso, Capriati, nel profondo, ha bisogno di lottare, perché la sua indole risponde meglio alle avversità, non alle situazioni facili”. Effettivamente, alla conferenza stampa del primo evento sul circuito maggiore, aveva candidamente dichiarato che le piacevano le sfide. Nelle parole di Price però, la sequenza degli eventi era stata invertita. Il tennis e poi la vita avevano messo Capriati davanti a parecchie avversità all’inizio degli anni ’90, e in molti casi lei non era stata in grado di reggere alla pressione. Non si tratta di una critica, perché nessuna a quell’età avrebbe potuto soddisfare le aspettative risposte. Nel pieno dell’adolescenza le si chiedeva di raggiungere il numero 1 e diventare la nuova Chris Evert (quanto era martellante l’eccitazione intorno a Capriati? Nel 1990, il giornalista Dave Scheiber aveva scritto chiaramente che sarebbe potuta diventare più forte di Evert: “il gioco da fondo di Capriati sembra potente quanto quello di Evert, ma va più a rete e spinge di più con il servizio”).

La giovane stella non si tirava ma indietro. Il cambiamento nei dieci anni dall’ingresso sulla scena mondiale ai due Slam del 2001 era stato acquisire un po’ alla volta la mentalità necessaria a gestire i momenti negativi inevitabilmente presenti nel professionismo. Sempre sull’onda di colpi da fondo che toglievano il fiato, la Capriati seconda versione aveva finalmente gli strumenti per concretizzare parte dell’enorme potenziale di Capriati 1.0.

A nove anni, nel 1985, dopo un campus estivo aveva ricevuto questa valutazione: possiede un potenziale che andrebbe sviluppato con cautela. Un’eventuale percorso tennistico, quand’anche una carriera, va mantenuto nella giusta prospettiva, e deve essere indirizzato al divertimento. Fare attenzione a non bruciare le tappe.

Ricevuto e preso nota…

Da li a qualche anno, nulla poteva fermare lo schiacciasassi Capriati. A dodici vinceva i campionati nazionali under-18. A tredici, era la volta del Roland Garros e degli US Open juniores. Poco dopo finiva nell’orbita di IMG, società di marketing sportivo che, ancor prima di aver giocato una sola partita da professionista, aveva garantito sponsorizzazioni da diversi milioni di dollari. Dopo gli infortuni e l’esaurimento causa della fine della carriera di Austin e Andrea Jaeger nei primi anni ’80, la WTA aveva introdotto restrizioni di età per il professionismo. Per Capriati, si era però ovviato alle regole, soprattuto per le Finali di stagione. Nei nove mesi dal debutto, aveva giocato dodici tornei e 48 partite in singolare.

Non si può tornare indietro

Negli anni ’90 il ricordo di Austin e Jaeger — così come di Kathy Rinaldi, Andrea Temesvari e altre — era ancora molto fresco. Capriati padre, Stefano, aveva preferito ignorarlo: “appartengono al passato, io credo nel futuro. Non sono storie da cui trarre lezioni, perché sono state totalmente differenti”. Austin aveva invitato Capriati a imparare tre cose: pazienza, pazienza e pazienza. L’ammonimento di Jaeger si era spinto più nel dettaglio: “se si fa male, diranno che ha incominciato troppo giovane. Se lancia la racchetta o dice parolacce o perde molti primi turni, diranno che la pressione ha avuto la meglio. Inizierà a sentire la pressione e giocare non sarà più divertente. Dopo qualche fallimento, imparerà che le uniche persone che tengono a lei sono gli amici e la famiglia”. Di lì a qualche anno, Jaeger avrebbe avuto ragione su tutto. Ma di fronte a una tredicenne che batteva professioniste navigate e finiva sulla copertina di Sports Illustrated, non si poteva tornare indietro. Nel posto da cui proveniva Stefano c’era un detto, per cui se una mela è matura, la si mangia.

Non c’erano dubbi che Capriati fosse pronta per competere sul circuito nel 1990. Quell’anno aveva vinto 37 partite su 48, per poi ottenere una striscia vincente di 14 nell’estate del 1991, interrotta solo a fatica da Seles agli US Open. Non aveva perso al primo turno fino al 1992 e alla fine della prima stagione era nelle prime 10. L’anno successivo era la numero 6. Dopo soli ventiquattro mesi, la fatica mentale stava prendendo il sopravvento. Era il futuro del tennis americano, il volto della campagna di marketing della divisione nord America di Diadora, eppure non riusciva a superare la barriera delle prime 5. Vinceva contro Seles, Sanchez Vicario, Gabriela Sabatini e Conchita Martinez, che però la battevano altrettanto frequentemente. E quando non capitava, c’era Graf ad aspettarla.

Era un periodo tosto per salire al vertice del tennis femminile. Già a conclusione del 1991, il tennis aveva smesso di divertirla, e certamente non si era rivelato una passeggiata. Si era presa quindi una pausa a inizio 1992, per poi allenarsi con Manolo Santana e ripartire. L’entusiasmo dello spagnolo era contagioso e l’aveva catapultata ai Giochi Olimpici di Barcellona con rinnovata energia: Santana era la voce che le serviva. Si era divertita alle Olimpiadi, una tra le tante giovanissime stelle presenti. In semifinale aveva vinto in tre set contro Sanchez Vicario e con lo stesso punteggio aveva superato Graf in finale, la prima volta in cinque tentativi, non mostrando il minimo segno di ansia nel chiudere la partita più importante della vita. L’effetto olimpiadi però non era durato al rientro sul circuito, con una sconfitta al terzo turno degli US Open. Nel 1993, era rimasta tra le prime 10, senza tuttavia fare progressi negli Slam perdendo contro Graf nei quarti di finale agli Australian Open, al Roland Garros e a Wimbledon. A New York, aveva perso al primo turno dalla numero 37 Leila Meskhi. Per cinque anni, non avrebbe più vinto una partita di uno Slam.

Risalite e recuperi

Le difficoltà di Capriati fuori dal tennis ricevevano lo stesso scrutinio dei suoi successi in campo: era stata colta a rubare, e citata in giudizio per possesso di marijuana, trasgressioni di piccolo conto tipiche di un’adolescente ma materiale per titoli scandalistici quando la ribelle in questione è una celebrità. Ci sono voluti anni, e qualche falsa ripartenza, prima che Capriati diventasse di nuovo una con cui dover fare i conti. A quel punto, oltre a essere in perfetta forma, aveva anche interiorizzato la parabola della giovanissima stella che ritorna al vertice dopo lunghe peripezie, ed era abbastanza evidente. Agli ottavi di finale degli Australian Open 2001, vince in due set dopo aver perso cinque dei sei game d’apertura. Nei quarti, Seles era avanti un set e un break prima di perdere al terzo. Nella finale del Roland Garros pochi mesi dopo, perde il primo set 6-1 e non riesce a servire per la vittoria ben tre volte prima di chiudere al set decisivo. Le piaceva sempre dover lottare, ma ora possedeva la resistenza fisica e mentale per emergere vittoriosa anche in partite maratona. Dopo essere stata battuta in semifinale, Hingis aveva ammesso che la sua avversaria, più di lei, aveva dato dimostrazione di essere la numero 1. Pur non completando lo Slam — sconfitta da Justine Henin nella semifinale di Wimbledon e da Venus Williams in quella degli US Open — a ottobre aveva agguantato la prima posizione mondiale.

Prima della fine del 2002, Capriati avrebbe perso il vertice, e con esso molte partite, per mano delle sorelle Williams. Prima però il tempo di un altro recupero a un passo dalla sconfitta da aggiungere alla narrazione. Nella finale degli Australian Open 2002 si trova a giocare di nuovo contro Hingis, che fa vedere subito perché era una campionessa così clinica solo qualche anno addietro. Sale infatti velocemente sul 6-4 4-0 e costringe Capriati a salvare quattro palle match. Nel corso del secondo set Capriati si rende sempre più aggressiva: apparentemente contro logica, avrebbe poi detto in conferenza stampa di sentirsi totalmente in partita. Vince il tiebreak del secondo set per 9-7 e, nella fornace di Melbourne, dimostra di essere la più in forma, regolando Hingis con un 6-2 nel set decisivo.

Chissà…

La storia di Capriati è intrisa di ironia. È impossibile non pensare a lei come la definizione della giovanissima prodigio verso la fine del ventesimo secolo. Ci sono tutti gli ingredienti: un padre onnipresente, un travolgente successo iniziale, le sponsorizzazioni milionarie, il chiaro esaurimento. Ha copiato la vicenda di Jaeger, moltiplicandola per mille. La carriera che ne è uscita però — una medaglia d’oro, tre Slam, altre dieci semifinali Slam, 17 settimane da numero uno e vittorie contro qualsiasi giocatrice di peso di una e più generazioni — è una di quelle per cui molte adolescenti (nonché i genitori) farebbero immediatamente la firma. Solo, nel caso di Capriati, non ha avuto i tempi previsti. Ovviamente non sapremo mai come sarebbe andata se i suoi genitori l’avessero avvicinata al professionismo più gradualmente. Magari si sarebbe bruciata comunque e non ce ne ricorderemmo. Oppure, aspettando fino a 16 o 17 anni, con un po’ di maturità in più e senza crisi di metà carriera, avrebbe potuto vincere il doppio degli Slam. E, chissà, diventare anche la più grande giocatrice di tennis che sia mai vissuta. ◼︎

The Tennis 128: No. 47, Jennifer Capriati

DELLO STESSO AUTORE