Il più grande archivio italiano di analisi statistiche sul tennis professionistico. Parte di Tennis Abstract

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I 128 del tennis — #79, David Ferrer

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Pubblicato il 28 maggio 2022 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati

A inizio anno, Jeff Sackmann si è imbarcato in un immenso progetto di elaborazione di una classifica dei 128 giocatori e giocatrici più forti di tutti i tempi, ponendosi l’obiettivo di terminare a dicembre 2022. Con una media di più di 2000 parole per singolo profilo, si tratta di una vera e propria enciclopedia di chi è chi nel tennis, dalla sua nascita a oggi. Per limiti di tempo e più evidenti limiti di talento, settesei.it propone una selezione delle figure maggiormente rappresentative per vicinanza d’epoca e notorietà, n.d.t.

David Ferrer [SPA]
Data di nascita: 2 aprile 1982
Carriera: 2002-2019
Gioco: destro (rovescio a due mani)
Massima classifica ATP: 3 (8 luglio 2013)
Massima valutazione Elo: 2219 (quarto nel 2012)
Slam in singolo: 0
Titoli ATP in singolo: 27

// Che piaccia o meno, il ventunesimo secolo non è stato particolarmente generoso con i terraioli vecchia scuola. In parte perché ogni volta che Rafael Nadal si presenta a un torneo sulla terra, finisce che quasi sempre lo vince. Inoltre, la ridotta stagione europea sulla terra — che comprende anche le condizioni di gioco più veloci del Madrid Masters — non è lunga a sufficienza per garantire anche a un forte specialista di ritrovarsi poi in cima alla classifica. Non era un concetto così chiaro nei primi anni 2000 e, se lo fosse stato, si sarebbe rivelato un gran problema per David Ferrer. Già partiva da un’altezza di 175 cm, più adatta a un raccattapalle o a uno dei fratelli Rochus ma meno per un giocatore del circuito che aspira a posizioni di vertice. Per di più, la combinazione di altezza e gioco da terra battuta acquisito a Valencia non aveva la stessa efficacia sulle superfici più dure.

Ferrer è entrato nei primi 50 nel 2004, all’età di 22 anni, ma non per al sua maestria sul cemento, dove aveva vinto solo 3 partite su 13 in quella stagione, di cui una contro una wild card e un’altra contro un qualificato. Aveva fatto un po’ meglio l’anno successivo, arrivando in semifinale al Miami Masters, anche se per merito di una vittoria al secondo turno dopo che Xavier Malisse aveva mandato a quel paese un giudice di linea facendo scattare la squalifica. Nel 2005 però è già tra i migliori sulla terra, con la finale nel torneo di casa a Valencia, la semifinale agli Internazionali d’Italia e i quarti di finale al Roland Garros. Per due volte batte Gaston Gaudio, vincitore a Parigi nel 2004, prima per 6-0 6-1 a Roma e poi al Roland Garros al quinto set dopo quattro ore di gioco. Se Nadal non fosse diventato una stella nell’esatto momento in cui anche Ferrer saliva in alto, il più vecchio dei due spagnoli avrebbe ottenuto una deflagrazione di carriera ancora più esplosiva. Invece così, il divario tra i due avrebbe tenuto occupato Ferrer per il decennio a venire. Nadal sembrava essere nato con un servizio mancino imprendibile e l’intelligenza tattica per metterlo a frutto. Per Ferrer…beh serviva come un terraiolo alto 175 cm. Entrambi erano tra i più forti alla risposta, con Nadal che vinceva il 44% dei punti nel 2005 e Ferrer il 43%. Nadal però vinceva più punti al servizio della media, mentre le statistiche offensive di Ferrer lo relegavano a posizioni secondarie. Un rendimento così claudicante al servizio non bastava per renderlo dominante sulla terra, specialmente in presenza di Nadal, e sanciva virtualmente che i risultati sul cemento sarebbero sempre stati anemici.

La crescita sul servizio

Se avete letto il profilo di Andy Roddick, probabilmente non ne volete più sapere di grafici sui punti vinti al servizio, ma dovete vedere questo. L’immagine 1 mostra la frequenza di punti vinti al servizio da Ferrer, dalla prima stagione intera sul circuito maggiore nel 2003 all’anno più vincente, il 2012.

IMMAGINE 1 – Punti vinti al servizio per stagione

Partire dal 56% è terribilmente scarso. Diego Schwartzman non è mai sceso, per una stagione completa, sotto il 58% e, tra i primi 50 attuali, nessuno nelle ultime 52 settimane ha fatto meno del 59.5%. Ferrer non si è avvicinato al 60% se non al terzo anno sul circuito.

Come praticamente qualsiasi terraiolo fatto e finito, ha imparato — ha dovuto imparare — a servire più di piatto, a essere più aggressivo sulla prima e ad accorciare i punti attaccando nel momento in cui l’avversario era sulla difensiva. Ciò che rendeva diverso Ferrer da tutti gli altri giocatori desiderosi di diventare una minaccia ovunque è il continuo miglioramento in ciascuno di quegli aspetti per un intero decennio. Con l’eccezione del periodo dal 2007 al 2008 in cui la percentuale di punti vinti al servizio è scesa dello 0.3%, ma più per un arrotondamento che altro, i suoi numeri sono aumentati ogni anno dagli inizi tremolanti di ventunenne alle prestazioni dominanti di trentenne. Nel mentre, è riuscito a far sembrare il servizio degli altri, beh, come i suoi da giovane. Dal 2004 al 2016, ha vinto almeno il 41% dei punti alla risposta, ogni anno. Anche Nadal non ci è riuscito, scendendo per due volte sotto quella soglia. La tabella riepiloga i giocatori che hanno vinto almeno il 41% dei punti alla risposta in almeno sei stagioni da quando l’ATP ha iniziato a tenere traccia, in forma più o meno completa, della statistica.

Stagione   Giocatore               
14         Rafael Nadal
13         Novak Djokovic          
13         David Ferrer               
11         Andy Murray          
10         Andre Agassi         
8          Michael Chang        
7          Lleyton Hewitt       
7          Magnus Gustafsson    
7          Thomas Muster        
6          Alberto Berasategui

La migliore stagione di Ferrer lo pone in un gruppo ancora più esclusivo, quello di dieci giocatori hanno avuto anche una sola stagione in cui hanno vinto almeno il 41% dei punti alla risposta e almeno il 67% di quelli al servizio: Andre AgassiJim Courier, Novak Djokovic, Stefan Edberg, Roger Federer, Daniil Medvedev, Andy Murray, Nadal, Marcelo Rios e, appunto, Ferrer.

Si inizia ad avere un’idea del perché Ferrer, con una sola finale Slam persa all’attivo, è così in alto tra I 128 del tennis. La sua massima valutazione Elo di 2219 — raggiunta nel 2013 grazie in larga parte a un 2012 fenomenale — è nelle prime 20 di sempre nell’era Open maschile. Nel 2012 aveva ormai capito come vincere sul cemento: in quell’anno infatti vince 33 partite e ne perde 8, tre delle quali contro Djokovic e una per ritiro nel primo set. Vince due titoli indoor di fila, a Valencia (ora sul duro) e il Masters di Parigi Bercy. Vince anche due partite su tre del girone alla Finali di stagione, battendo Juan Martin del Potro e mancando per un soffio la qualificazione alla semifinale. Termina poi la stagione in striscia positiva, sempre al chiuso, vincendo entrambe le sfide di singolo nella finale di Coppa Davis persa però contro la Repubblica Ceca.  

In classifica arriva quinto, dietro naturalmente ai Fantastici Quattro, per il secondo anno consecutivo. Nel 2013 non gioca così bene, ma a una combinazione di tempismo e rendimento inferiore di alcuni degli avversari si traduce un anno dopo nel terzo posto, davanti a Murray e Federer. La bravura nello sfruttare a pieno tabelloni più agevoli lo fa approdare alla finale del Roland Garros e a quelle dei Masters di Miami e di Parigi Bercy. Vince solo due tornei (rispetto ai sette dell’anno prima), ma raggiunge nove finali. Anche dopo essere sceso di classifica, Ferrer conserva la capacità di vincere indipendentemente dalle condizioni. Da numero 10, dà il via al 2015 con la vittoria a Doha, battendo prima Ivo Karlovic in semifinale in tre set, tutti al tiebreak, e poi Tomas Berdych in finale. Un mese dopo, mette insieme una coppia inusuale di trionfi, prima sulla terra di Rio de Janeiro e, dopo appena una settimana, sul cemento di Acapulco. Nella finale in Messico, non serve neanche un ace, ma la superficie non lo frena: ottiene più della metà dei punti alla risposta in quattro partite su cinque.

A volte Ferrer è stato definito poco più che un “avvoltoio”, cioè un giocatore che vince tornei solo in presenza di avversari deboli o di un tabellone che si apre per lui. È indubbio che abbia vinto qualche torneo in quel modo, anche se ad esempio battere il numero 7 Berdych e il numero 5 Kei Nishikori ad Acapulco non corrisponde alla descrizione. Non aveva molte possibilità contro i Fantastici Quattro, quindi ha incrementato il bottino in loro assenza. In ogni caso, nei primi anni 2010 rimanere in classifica tra i primi cinque, — anche come distante quinto — richiedeva un tennis di pregevole fattura.

Un’etica lavorativa senza eguali

Per via di un inizio lento e un posto perennemente all’ombra dei Fantastici Quattro, tifosi e opinionisti hanno impiegato troppo a rendersi conto di quanto fosse forte Ferrer. E anche dopo aver abbracciato con entusiasmo la sua ostinata dedizione, in pochi hanno compreso quanto fosse improbabile che un giocatore lasciasse il segno come lo fatto Ferrer in un’era storicamente eccezionale. Qualche anno dopo sarà Stan Wawrinka a diventare il simbolo della stella che ci mette del tempo ad arrivare in alto, vincendo tre Slam dopo aver compiuto 28 anni. Anche se Ferrer non ha mai vinto uno Slam, la sua lenta ascesa è stata altrettanto sorprendente. Dopo il quinto posto a fine stagione nel 2007, era solo diciassettesimo nel 2009: non sarebbe stato illogico se avesse proseguito il resto della carriera ai margini dei primi 10. Invece, nel 2010, la stagione in cui ha compiuto ventotto anni, è tornato al numero 7. Ha finito il 2011 e il 2012 al numero cinque e, come visto, il 2013 al numero 3.

Una cosa è per un giocatore essere tra i più forti passati i trent’anni. È raro che accada nel tennis maschile, ma in una manciata ci sono riuscita. Quello che è più rimarchevole è quando un giocatore arriva così vicino al vertice per la prima volta a metà carriera. Quando verso la fine del 2013 ho analizzato la storicità delle dinamiche di invecchiamento, Ferrer era solo il dodicesimo giocatore in trent’anni a ottenere un miglioramento della classifica per quattro anni consecutivi dopo aver compiuto i ventiquattro. E solo Ferrer e Wayne Arthurs ci sono riusciti dopo i ventisette, ma Arthurs è partito da un ben più basso 52esimo posto. Ferrer ha continuato a stare sopra la curva d’invecchiamento: è uscito dai primi 10 solo a maggio 2016 e anche in quella stagione, che lo ha visto abbandonare i primi 20, era comunque la spina nel fianco per il servizio dell’avversario. Per la tredicesima stagione consecutiva, ha vinto il 41% dei punti alla risposta. Solo Djokovic, Nadal, Murray e David Goffin hanno fatto meglio.

Per molti tifosi, non è così importante, perché Ferrer, secondo loro, non è il tipo di giocatore ascrivibile a una serie di statistiche riepilogative. I telecronisti non hanno mai perso occasione di rievocare quando Ferrer ha smesso con il tennis da adolescente, andando a lavorare per una ditta di costruzioni, per poi realizzare che il tennis aveva i suoi vantaggi e riprendere da dove aveva lasciato, impegnandosi ancora più duramente. L’etica lavorativa non è mai svanita, e lo dimostrano le più di 1100 partite giocate in carriera. Di tutti i giocatori con più di 20 partite nel database del Match Charting Project, è solo uno di tre in questi anni (gli altri due sono Diego Schwartzman e Gilles Simon) ad avere uno scambio medio di cinque colpi. Che sembrano molti di più vista l’intensità che ha sempre messo in ciascuno di essi. Con quanta grinta affrontasse anche la partita di routine, comunque sembrava avere una riserva di energie aggiuntiva. Ha giocato 37 partite al quinto set vincendone 23, ed era particolarmente pericoloso quando era in palio l’orgoglio nazionale. Ha contribuito alla vittoria spagnola della Davis Cup nel 2008, 2009 e 2011, vincendo quinti set cruciali rispettivamente contro Roddick, Radek Stepanek e del Potro. Avere Nadal in squadra poteva significare passare il turno probabilmente anche senza le vittorie di Ferrer, ma non lo si sarebbe mai pensato vedendolo in azione sul campo.

In un’intervista del 2015 per Rolling Stone, Ferrer immaginava che di li a cinque o dieci anni, giocatori come lui, di quell’altezza, si sarebbero estinti. Il successo che Schwartzman continua ad avere e l’ascesa di Sebastian Baez fanno ritenere il contrario. In un tennis dominato da servizi potenti e sempre più carichi di effetto, non sarà mai semplice per un giocatore di statura media rimanere competitivo. Ma non lo era nemmeno vent’anni fa. Ferrer, più di tutti, dovrebbe saperlo. ◼︎

The Tennis 128: No. 79, David Ferrer

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