Pubblicato il 13 settembre 2018 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati
// Quasi tutti concordano nel dire che agli US Open 2018 i campi erano più lenti. È quello che hanno pensato i giocatori, che poi hanno ripreso i giornalisti e che il direttore del torneo ha confermato spiegando che la composizione fisica della superficie è stata leggermente alterata in modo da rallentarne la velocità. Anche Dominic Thiem, specialista della terra battuta, è arrivato a due punti dalla semifinale, quindi qualcosa è chiaramente cambiato.
E non lo metto in discussione ma, quando ho provato a misurare eventuali conseguenze per avere un’idea di chi potrebbe esserne stato favorito, ho trovato solo risultati contrastanti. Nessun metodo ha rivelato un incontrovertibile rallentamento della superficie e, secondo alcuni indici, i campi erano più veloci quest’anno. Forse era solo per caldo e umidità, anche se i numeri non forniscono indizi nemmeno su questo.
Risultati contrastanti
Per questo tipo di analisi parto di solito dal mio indice di velocità di superficie, che confronta la frequenza di ace in ogni torneo tenendo conto del tipo di giocatori al servizio e alla risposta. La carenza di statistiche avanzate ne limita l’applicazione solo ad alcuni dati di base, ma generalmente è in linea con quanto suggerisce l’intuito e non si discosta eccessivamente dal Court Pace Index (CPI), un valore basato su misurazione diretta che però non è sempre disponibile.
Utilizzando il mio algoritmo, si ottiene che la superficie degli US Open era il 5% più veloce della superficie media di un torneo del circuito maschile delle ultime 52 settimane, rispetto al 2017, quando invece era più lenta del 4%. Per quanto riguarda la velocità di superficie media di un torneo del circuito femminile, gli US Open erano più lenti del 5%, rispetto a una maggiore lentezza del 19% nel 2017. Le superfici più lente in entrambi i circuiti maggiori hanno in media il 50% di ace in meno, mentre le più veloci hanno in media il 50% di ace in più.
La durata media dello scambio è diminuita
Il 2017 non è stata solo una casualità, sia per le misurazioni effettive che per il mio indice, ma si è avvicinato al 2016, un altro anno che figura considerevolmente più lento della superficie del 2018. Si tratta di una discrepanza dovuta probabilmente a un algoritmo che si affida troppo agli ace: magari i giocatori, stremati dall’afa, hanno cercato di accorciare gli scambi più del solito o semplicemente evitare lo sforzo di rispondere alla prima di servizio con la stessa frequenza.
Ci sono prove più evidenti dell’offensività dei giocatori nel 2018 rispetto al 2017. Sui campi con lo Slamtracker (179 partite del tabellone di singolare maschile sulle 254 giocate), in media la durata di uno scambio – escludendo i doppi falli – è scesa da 4.28 colpi dello scorso anno ai 4.17 del 2018, un calo del 2.6%. La combinazione di giocatori in tabellone potrebbe incidere su questo dato (così come anche l’assegnazione dei campi più importanti a determinati giocatori), ho quindi isolato i 27 giocatori con statistiche di almeno due partite per il 2017 e il 2018. Qui, la lunghezza dello scambio è scesa, anno su anno, di circa il 3%.
Nel 2018 un tennis più aggressivo
Iniziamo ad avere un principio di spiegazione. In caso di gioco più aggressivo – magari imposto dalla necessità di adottare per il caldo estremo una tattica di precedere l’avversario nell’attaccare – gli effetti di una superficie più lenta si compensano. Possiamo approfondire l’analisi attraverso l’Indice di Offensività, che misura il rapporto tra vincenti ed errori non forzati per numero di colpi. Su tutte le partite considerate, l’Indice di Offensività è salito dal 15.3% nel 2017 al 16.1% quest’anno, un aumento del 5.7%. Nel campione di 27 giocatori con più partite in entrambi gli anni, la differenza è ancora più marcata, con un aumento dell’8.7%.
È chiaro quindi che si è visto un tennis più aggressivo nel 2018 che nella precedente edizione degli US Open. Se diamo per assodato che i campi erano più veloci, il caso è chiuso: la tattica, probabilmente forzata dalle temperature, ha surclassato la superficie. Ma se affrontiamo il problema ignorando i commenti di giocatori, giornalisti e organizzatori, gli stessi numeri conducono inequivocabilmente a una conclusione ancora più semplice, che cioè i campi erano più veloci.
Questione di tattica?
Se è la tattica a spiegare la discrepanza, un altro aspetto da valutare è la prima di servizio. Forse chi era al servizio ha rischiato di più, incrementando la frequenza di ace a discapito della percentuale di prime di servizio. I dati però non sono di conforto, visto che complessivamente la prima di servizio nelle partite seguite dallo Slamtracker è diminuita solo dello 0.07%. Nel confronto anno su anno del campione di 27 giocatori, la differenza è maggiore, ma di un trascurabile 0.3%. Se la soluzione sta nella tattica, deve trovarsi nella risposta al servizio, non nel servizio stesso.
Il processo deduttivo però ha ora qualche tentennamento, perché la tattica in risposta è più difficile da quantificare della strategia al servizio e i dati a disposizione hanno un limite applicativo intrinseco. Possiamo conteggiare le risposte vincenti e gli errori forzati indotti, cioè i punti in cui lo scambio è terminato grazie a una solida risposta. Se i giocatori alla risposta hanno concesso più ace, dovrebbe essere per via di una maggiore aggressività, preferendo a minori opportunità di scambio una migliore probabilità di vincere il punto quando effettivamente riescono a colpire la pallina.
Non è andata così, perché le risposte vincenti e gli errori forzati indotti sono scesi di un incredibile 7% anno su anno. Questo dato è a supporto della teoria di una superficie più lenta, e soddisfa le attese di quei giocatori che adottano una posizione alla risposta molto conservativa, come ad esempio Rafael Nadal, il cui rapporto risposte vincenti su errori forzati indotti è calato del 3% e Thiem, per il quale invece è sceso del 7%. Ma una superficie più lenta e un valore più basso del rapporto risposte vincenti su errori forzati indotti dovrebbe portare a meno ace, non il contrario.
Conclusioni
Giunti a questo punto, abbiamo molte più informazioni dell’inizio ma poche risposte in più. Alcuni segnali fanno pensare a una superficie più veloce, altri a una più lenta; alcuni indicano una tattica più offensiva, altri una più conservativa. A prescindere da quanto si conosca sulla composizione fisica dei campi, sono molti i fattori in grado di incidere su quella che definiamo “velocità di superficie”.
Le condizioni di estremo caldo umido degli US Open 2018 hanno certamente complicato lo scenario: uno studio che inserisse tra i parametri l’indice di calore per ogni singola partita aiuterebbe probabilmente a fare chiarezza. Potremmo anche vedere i giocatori adattarsi alle condizioni – che siano il calore o la superficie più lenta – in modi tra loro differenti. Ci può essere unanimità di opinione sul modo in cui superficie e palline hanno interagito quest’anno, ma è molto più difficile capirne esattamente il significato. ◼︎