Il più grande archivio italiano di analisi statistiche sul tennis professionistico. Parte di Tennis Abstract

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I 128 del tennis — #67, Mary Pierce

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Pubblicato il 15 luglio 2022 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati

A inizio anno, Jeff Sackmann si è imbarcato in un immenso progetto di elaborazione di una classifica dei 128 giocatori e giocatrici più forti di tutti i tempi, ponendosi l’obiettivo di terminare a dicembre 2022. Con una media di più di 2000 parole per singolo profilo, si tratta di una vera e propria enciclopedia di chi è chi nel tennis, dalla sua nascita a oggi. Per limiti di tempo e più evidenti limiti di talento, settesei.it propone una selezione delle figure maggiormente rappresentative per vicinanza d’epoca e notorietà, n.d.t.

Mary Pierce [FRA]
Data di nascita: 15 gennaio 1975
Carriera: 1990-2006
Gioco: destro (rovescio a due mani)
Massima classifica WTA: 3 (30 gennaio 1995)
Massima valutazione Elo: 2230 (quarta nel 1995)
Slam in singolo: 2
Titoli WTA in singolo: 18

Mary Pierce descriveva così i tifosi al Roland Garros: “Nei miei confronti, sono a dir poco mutevoli”. Era, e contemporaneamente non era, l’eroina locale. Nata in Canada da madre francese e padre americano, cresciuta in Florida, avrebbe tranquillamente potuto giocare per gli Stati Uniti. La Federazione francese invece le aveva aperto le porte, consentendole di rappresentare il tricolore per tutta la carriera.

Pierce gioca il primo Roland Garros nel 1990, grazie a una wild card. Ha solo 15 anni, ma più di diciotto mesi di esperienza da professionista. Sono due stelle veterane a fermarla subito nei primi due anni, rispettivamente Mary Joe Fernandez e Gabriela Sabatini. Nel 1992, arriva per la prima volta alla seconda settimana, perdendo però da una rivale ancora più giovane, Jennifer Capriati, che la sconfigge allo stesso turno anche l’anno successivo. Nessuno dubitava della sua capacità per andare oltre, i suoi colpi a rimbalzo erano potenti quanto quelli di chiunque altra. Con un’altezza di 180 cm, era una delle “ragazzone” simbolo di un’epoca, secondo l’opinione della commentatrice Mary Carillo. Una collega aveva detto che quando colpiva la palla con un colpo da fondo, la palla rimaneva schiacciata. L’esplosione di fronte ai tifosi “locali” arriva finalmente nel 1994. Nulla della sua storia tennistica sino a quel momento — tranne quello scintillante potenziale — faceva intendere che succedesse, ma passa sul tabellone come uno schiacciasassi, lasciando solo sei game in cinque partite. Rifila 6-0 6-0 a Lori McNeil e 6-1 6-1 ad Amanda Coetzer. Si comporta ancora meglio con Steffi Graf in semifinale, spingendola semplicemente fuori dal campo e vincendo 6-2 6-2, la peggior sconfitta di Graf negli ultimi tre anni di Slam. Graf parla anche per molte altre giocatrici frustrate nel dire: “Che tattiche puoi usare quando chiude ogni singolo punto?” Alla fine però la diciannovenne soccombe alla pressione della finale: Arantxa Sanchez Vicario ha la pazienza per resistere ala raffica di Pierce e la batte 6-4 6-4. Pierce si guadagna l’approvazione del pubblico francese, ma solo temporaneamente. Dopo aver conquistato gli Australian Open l’anno successivo, vince solo cinque partite nelle cinque edizioni del Roland Garros che seguono: a Parigi la fischiano tanto spesso quanto l’applaudono. Ma non ha importanza, perché Pierce si è trovata in situazioni peggiori. Anche dopo un decennio sul circuito, ha ancora ampio margine di miglioramento fisico, tattico e mentale. Si sarebbe ingraziata il pubblico francese con il tempo, e definitivamente.

Rimpianti e difficoltà della USTA

In più di un’occasione la Federazione americana ha rimpianto di aver lasciato andare Pierce. La bandiera francese accanto al suo nome infatti è comparsa in sei finali Slam ed è salita fino al terzo posto della classifica. Pur parlando francese come un abitante della Florida, Pierce ha contribuito alle vittorie della Francia in Fed Cup nel 1997 e nel 2003, quest’ultima proprio contro gli Stati Uniti. Il fallimento però non è stato nel valutare il suo talento. Già verso la fine degli anni ’80, gli osservatori della USTA avevano riconosciuto un diamante grezzo in Pierce, in grado di arrivare ai vertici dello sport, anche se il supporto finanziario e organizzativo dedicato a Capriati era senza precedenti. Gli allenatori Ron Woods e Stan Smith erano rimasti impressionati dal gioco di Pierce in tenera età e volevano aiutarla a migliorare nelle dinamiche di partita.

Quello che la USTA non riusciva a fare era gestire Jim Pierce. Un profilo del 2000 sul Guardian aveva definito Jim “il primo padre di tennista direttamente dall’inferno”. Era ben lontano dall’essere il primo — Andrea Jaeger potrebbe raccontarne di episodi su suo padre Roland — ma certamente aveva portato la caratterizzazione all’estremo. Recentemente Mary ha dichiarato al New York Times che la sua vita dai 10 ai 18 anni è stata di fatto un inferno. Non appena Jim intravede il talento della figlia, prende pieno controllo del suo sviluppo. Allenatori e palleggiatori vanno e vengono, ma non possono mai avvicinarsi troppo e scelgono spesso di stare a distanza perché Jim, nei momenti migliori, non le manda a dire e, in quelli peggiori, passa alle minacce fisiche. Già all’età di 12 anni della figlia, Jim era andato oltre così tante volte da ricevere un’interdizione di sei mesi dai tornei da parte della Florida Tennis Association. Aveva colpito un altro genitore e ricoperto di insulti le avversarie in più di una occasione. Giravano voci che fosse fisicamente violento con Mary. Si descriveva come un vecchio perditempo, in realtà aveva ricevuto condanne scontate poi nella prigione di due diversi stati dell’Unione. Il suo comportamento non cambia. Il resto della famiglia — Mary, la madre Yannick e il fratello più giovane David — sono costretti ad allontanarsene. Jim continua comunque a seguire Mary sul circuito, la quale è costretta a procedere con ordinanze restrittive e girare con la guardia del corpo a ogni torneo. Alla fine del 1992, il Women’s Tennis Council istituisce una regola per cui è possibile vietare l’ingresso ai tornei a genitori e allenatori. Il motivo non è certo un segreto e la “regola Jim Pierce” viene infatti attivata nel giro di mesi nei confronti della persona da cui prende il nome.

Il ritorno da Bollettieri

Woods, l’allenatore della USTA, parlando a Sports Illustrated nel 1993 si esprime forse con le parole più aliene da enfasi e retorica di quell’anno: “È sorprendente come possa giocare con quel tipo di zavorra”. Quando Mary diventa diciottenne in gennaio, è la numero 12 del mondo, con quattro tornei vinti sul circuito maggiore. Con Jim lontano, Mary torna all’accademia di Nick Bollettieri, dove si era già allenata brevemente prima che Jim si inimicasse l’ennesimo gruppo di colleghi. Bollettieri le impone due obiettivi: ritornare in forma (le scrive testualmente, sei grassa!) e imparare ad arrangiarsi in campo, invece di fare così tanto affidamento sul supporto del suo angolo. I risultati arrivano velocemente: Mary batte Sabatini e Martina Navratilova alle Finali di stagione 1993, le prime vittorie contro giocatrici tra le prime 10. Come visto, l’anno successivo raggiunge la finale del Roland Garros. Dopo un periodo di preparazione davvero intenso con il suo allenatore a tempo pieno Sven Groeneveld, vince gli Australian Open 1995, senza perdere più di quattro game a set e chiudendo con vittorie contro le teste di serie numero 1, Sanchez Vicario, e la numero 2, Conchita Martinez. Ancora più rilevante dal punto di vista di Bolliettieri, ci riesce senza che lui sia presente. Deve lasciare infatti l’Australia prima della semifinale, ma vede dalla diretta che Mary rivolge lo sguardo verso l’angolo solo al momento di festeggiare la vittoria.

Ironicamente, il nuovo allenatore ha dei tratti in comune con il vecchio. Quando nel 1996 si separano, Mary li mette a confronto: “Mio padre non le mandava a dire, così come Nick. Mio padre parlava di tutto con tutti, un po’ come Nick. E mio padre parlava di tutto apertamente, qualche volta con esagerazione o senza alcun controllo. Un po’ come Nick”. Jim poteva essere minaccioso e miope ma, come diceva a chiunque stesse ad ascoltarlo, era lui che aveva portato da solo la figlia al numero 14 della classifica. Quando Mary ne ha preso le distanze, anche lei, come Jaeger con Roland, ha riconosciuto il ruolo fondamentale del padre per il successo, insistendo che agiva con le migliori intenzioni. La sua adolescenza sarà anche stata un inferno in terra, ma è convinta che se così non fosse stato non sarebbe mai diventata una campionessa.

Mary non riesce a mantenere il livello che l’ha portata a due finali Slam in otto mesi, e il 1996 è particolarmente difficile. Dopo aver lasciato Bollettieri, raggiunge solo una finale e perde dalla numero 82 Barbara Rittner al Roland Garros. Dopo quasi cinque anni, esce dalle prime 20. Un po’ alla volta però riprende il controllo della salute, del peso e della situazione familiare che troppo spesso ha riempito gli articoli sportivi di gossip. Fa pace con Jim e occasionalmente si allena pure con lui, per quanto in dosi limitate e solo alle sue condizioni. Torna in finale agli Australian Open 1997 e vince quattro titoli nel 1998. Alla fine del 1998 rientra tra le prime 5. Nei primi mesi del 2000, assume un volto familiare come nuovo allenatore. Il fratello David non è Jim, ma la fa lavorare duramente. Più o meno in quel periodo, da una conversazione con la collega Linda Wild, Mary si convince a convertirsi al Cristianesimo. Il cambio di mentalità che ne deriva è così evidente da far pensare ad alcune delle altre giocatrici che sia in terapia presso uno psicologo dello sport.

Questa nuova configurazione, o forse la nuova impostazione negli allenamenti, mostra subito risultati. In aprile vince il torneo di Hilton Head perdendo solo 12 game in cinque partite. Dopo aver battuto Monica Seles 6-1 6-1, annulla Sanchez Vicario in finale 6-1 6-0, punteggio che richiede solo 83 punti, di cui 27 sono vincenti diretti. Nonostante le vittorie brutali ottenute nella Carolina del Sud, il gioco di Mary era diventato più completo. E forse condividere il campo con una stratega del calibro di Martina Hingis aveva aiutato. Avevano giocato insieme quell’anno agli Australian Open arrivando in finale e poi vinto il titolo al Roland Garros. Dove finalmente Mary riesce a superare l’ultimo ostacolo anche in singolo, grazie alle nuove abilità acquisite. Batte Seles in una dura partita nei quarti di finale e supera di misura Hingis in semifinale dopo aver buttato qualche palla match e perso il secondo set. In finale contro Martinez è quasi più facile: ottiene 33 vincenti contro i 16 dell’avversaria e conquista 26 punti su 36 a rete. il secondo Slam è in bacheca con il punteggio di 6-2 7-5. Almeno per un giorno, il pubblico francese non ha avuto nulla per cui tifarle contro.

Le finali Slam dopo i trent’anni

Da quel trionfo, Mary non ha però l’occasione di generare altro successo, perché infortuni alla schiena e alla spalla la costringono a solo dieci tornei nei successivi 18 mesi, e a un lungo periodo prima di tornare in completa salute. Pur avendo aiutato la Francia a vincere la Fed Cup 2003, non raggiunge altre finali fino all’anno successivo, quando perde contro Kim Clijsters agli Indoors di Parigi. Con uno Slam a vent’anni e uno a venticinque, c’era poca speranza di continuare la sequenza con il terzo dopo i trent’anni. Eppure quasi ci riesce. Riunita al fratello nel 2005, si presenta in forma proprio per l’inizio del Roland Garros anche se, con una classifica fuori dalle prime 20, l’aspettano turni difficili. Per arrivare in semifinale deve battere tre teste di serie delle prime 10: Vera Zvonareva, Patty Schnyder e la numero 1 Lindsay Davenport. Superata con facilità Elena Likhovtseva in semifinale, è Justine Henin a vincere il torneo battendola 6-1 6-1. Si tratta della quinta finale Slam, a più di cinque anni dalla quarta. Non serviva aspettare molto per la numero sei. Dopo i quarti di finale a Wimbledon, vince dieci set consecutivi e il titolo a San Diego. Agli US Open, si prende la rivincita contro Henin al quarto turno, poi sconfigge due delle prime 10 in Amelie Mauresmo e Elena Dementieva per la seconda finale Slam in stagione dove a fermarla, questa volta, è Clijsters. Vince poi il torneo di Mosca e chiude l’anno di nuovo tra le prime 5. Proprio alle Finali di stagione mette insieme la migliore settimana della carriera. Supera nell’ordine Davenport, Clijsters, Mauresmo e Dementieva, prima di cedere a Mauresmo in finale in una maratona di tre set. In termini di continuità di gioco, questo ritorno in alto si basa su un rendimento ancora più solido di quello che, cinque anni prima, le ha permesso di vincere il Roland Garros. Ma, anche qui, non dura. Altri infortuni la tengono fuori da febbraio a luglio. A ottobre a Linz, si stira il legamento del ginocchio sinistro, accasciandosi in campo a qualche punto dalla vittoria al secondo turno. È la fine della carriera, anche se serve qualche anno prima che Mary lo renda ufficiale.

Il suo lascito, e il trattamento ricevuto dal pubblico francese, hanno acquisito negli anni contorni meno complicati. La biografia non è più dominata da un padre problematico oltremisura, a prescindere da quanto sia spiegazione di un’ascesa tumultuosa al vertice. Le sconfitte pesanti sono in larga parte dimenticate, non più di una postilla ai clamorosi trionfi. I devastanti colpi a rimbalzo — i più forti di tutte le “ragazzone” degli anni ’90 e il nucleo dei suoi successi sul circuito — sono più che sufficienti ad assicurarle un posto nella storia del tennis. ◼︎

The Tennis 128: No. 67, Mary Pierce

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