Pubblicato il 29 settembre 2022 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati
A inizio anno, Jeff Sackmann si è imbarcato in un immenso progetto di elaborazione di una classifica dei 128 giocatori e giocatrici più forti di tutti i tempi, ponendosi l’obiettivo di terminare a dicembre 2022. Con una media di più di 2000 parole per singolo profilo, si tratta di una vera e propria enciclopedia di chi è chi nel tennis, dalla sua nascita a oggi. Per limiti di tempo e più evidenti limiti di talento, settesei.it propone una selezione delle figure maggiormente rappresentative per vicinanza d’epoca e notorietà, n.d.t.
Stefan Edberg [SWE]
Data di nascita: 19 gennaio 1966
Carriera: 1983-1996
Gioco: destro (rovescio a una mano)
Massima classifica ATP: 1 (13 agosto 1990)
Massima valutazione Elo: 2239 (primo nel 1990)
Slam in singolo: 6
Titoli ATP in singolo: 41
Nessuno aveva idee chiare su come inquadrare Stefan Edberg. Quando, all’età di diciannove anni, irruppe sulla scena mondiale con la vittoria degli Australian Open 1985, venne chiamato ‘la macchina’, il robot. Era immancabilmente educato, e così sarebbe rimasto. Però non si concedeva più di tanto ai giornalisti. “Stefan non parla granché, anche per gli standard svedesi”, aveva detto il suo più loquace connazionale Mats Wilander. E nemmeno sorrideva tanto. Lo avevano notato molti degli spettatori della semifinale di Melbourne, dopo che aveva battuto a sorpresa il numero uno del mondo Ivan Lendl, il cui atteggiamento flemmatico in campo era da vecchio stile. Eppure ci si aspettava più personalità da un giovanissimo, soprattutto dopo aver visto l’esultanza giubilante di Boris Becker a Wimbledon pochi mesi prima.
Poteva anche sembrare privo di sentimento. Nel 1986 aveva affermato: “Certo che sono deluso, ma c’è sempre un nuovo torneo la settimana prossima”. Terzo turno perso a Wimbledon, nessun rimpianto. L’anno successivo però, aveva sconfitto al primo turno Stefan Eriksson con un triplo 6-0 prima di perdere in semifinale contro Lendl. Con o senza personalità, il suo servizio e volée continuava ad attrarre fautori: lasciava che fosse la racchetta a parlare per lui. Il collega Horst Skoff ne aveva esaltato la grazia paragonandola a quella di un ballerino. Scriveva Alison Muscatine sul Washington Post: “Non c’è nulla di più bello o eccitante del gioco di Edberg quando è al massimo. Ogni colpo è poesia, ogni movimento è lirica”. Nel 1991, Edberg era già arrivato al primo posto della classifica. La sua riservatezza iniziava a essere apprezzata da chi doveva raccontare le vicende hollywoodiane di Andre Agassi. Dopo la vittoria degli US Open 1991, Sports Illustrated lo aveva riassunto in un ‘tranquillo, tosto e formidabile ragazzo’. Un anno dopo, era riuscito a difendere il titolo con una serie di partite al cardiopalmo, mostrando occasionalmente il lampo di emozione in campo. Tutti erano d’accordo: Edberg era certamente umano.
Non c’era dubbio che Edberg fosse un introverso, e che tutto per lui dovesse essere in ordine. L’esplosività di Becker facilmente poteva oscurarlo o anche la teatralità di fine carriera di Jimmy Connors. Ma non importava, lo scopo era vincere partite di tennis con poco patema, né più né meno. Efficiente era la parola che avevano inseguito per un decennio i cronisti, l’aggettivo che descriveva lui e il suo tennis. Nel 1991, parlava così in un’intervista con Franz Lidz: “Gioco a tennis nel modo più semplice. Non aspetto che l’altro sbagli, cerco solo di giocare meglio di lui e finire da me il punto. Non si deve cercare di complicare il tennis, perché lo è già di suo. Tira dove non c’è il tuo avversario”. Ah…ecco cosa devo aver sbagliato tutti questi anni!
Un tennis di posizione
Il tennis era così basico per Edberg che a volte veniva accusato di tralasciare completamente l’aspetto mentale. Due mesi dopo i 18 anni, aveva vinto a Milano il primo torneo del circuito maggiore battendo Wilander in due set. Il veterano non era mai riuscito a leggere bene il servizio dell’apprendista, e ammirava così tanto l’effetto a uscire della seconda di servizio di Edberg da cercare di aggiungerlo poi al proprio gioco. Dopo la partita, si era lasciato andare a complimento molto ambiguo: “Quando ero in ascesa, Bjorn Borg mi aveva detto che sarei potuto diventare uno dei più forti del mondo perché usavo la testa. Con quel servizio, Edberg può giocare senza pensare”. In pochi avevano un’impostazione tattica al pari di quella di Wilander, però è riduttivo affermare che Edberg sparava solo colpi sperando nel risultato migliore. Sapeva che andare a rete era un po’ una scommessa, perché alcuni servizi avrebbero ricevuto risposte troppo potenti, perché alcuni passanti avrebbero colpito la linea. Ma aveva anche imparato che avrebbe potuto girare il banco a suo favore. Che il tennis sia come gli scacchi è un luogo comune ingannevole. Ad esempio, chi gioca servizio e volée raramente deve pensare due mosse avanti. A Edberg comunque piaceva la metafora, e interpretava il gioco in quel modo. Niente di meno che Anatoly Karpov, scacchista di fama internazionale e grande tifoso di tennis, era d’accordo con lui. “Io gioco a scacchi di posizione, lui gioca a tennis di posizione”, aveva affermato.
Anche nel contesto degli anni ’80, il particolare marchio di fabbrica di Edberg ricordava più il tennis di una volta. Pur con un servizio solido — specialmente la seconda carica di effetto — la devastante potenza di Becker, e poi quella di Pete Sampras, era ben lontana. Oggigiorno, i pochi che seguono il servizio sono generalmente dotati di prime tra le più pesanti, per cui la discesa a rete diventa una sorta di atto conclusivo. Se per qualche motivo la pallina torna indietro, si chiude il punto con una semplice volée. Questa dinamica aveva già preso piede a metà della carriera di Edberg: giocatori infatti come Goran Ivanisevic, Michael Stich e lo stesso Becker potevano aspettarsi che la maggior parte delle presenze a rete fosse quasi solo celebrativa. Per Edberg era diverso. Come le stelle di epoche precedenti il cui servizio era limitato da attrezzatura rudimentale e regole molto ferree sul fallo di piede, anche lui serviva in modo da presentarsi a rete per una prima o, nel caso, una seconda volée. È la stessa tattica che ha suggerito a Roger Federer o che si osserva occasionalmente da Carlos Alcaraz.
Attraverso i dati del Match Charting Project, siamo in grado di capire come Edberg si distinguesse dai migliori dei colleghi di servizio e volée [1]. Nelle partite a disposizione, il 71% dei suoi servizi ha ricevuto risposta, una prestazione solida ma inferiore a quella di Becker (il 65%) e Sampras (il 62%), capaci di mettere più in difficoltà gli avversari. Con il secondo colpo però, i numeri di Edberg si attestano su livelli di vertice, vincendo infatti complessivamente il 46% dei punti al servizio con il primo o il secondo colpo. Becker faceva meglio solo marginalmente (il 47%) e il vantaggio di Sampras (il 52%) era molto più ridotto della sua posizione di comando nei servizi senza risposta. E se guardiamo nello specifico alle risposte valide, il divario è quasi nullo. Edberg vinceva il 51% di quei punti, contro il 50% di Becker e il 52% di Sampras. Si poteva credere che ci fossero più possibilità quando Edberg era al servizio, ma era un ottimismo di breve durata.
Linguaggio del corpo e velocità di piede
Era ingiusto sostenere che Edberg giocasse senza pensare, ma un fondo di verità c’era, perché il tennis non gli veniva automatico. Però, già a inizio carriera aveva maturato quell’iconico movimento del servizio che avrebbe in parte ispirato il logo degli Australian Open. Era anche rapido ad apprendere. Il suo primo allenatore, Percy Rosberg, aveva visto una dopo l’altra le sue volée di rovescio andare a segno e suggerito quindi di dismettere il rovescio a due mani così da avere un colpo più simile a quella volée. Si trattava di un salto nel buio per una stella del tennis giovanile, già vincitore dei campionati europei juniores, che però non ne aveva intaccato l’ascesa (Rosberg deve essere considerato uno dei guru più sottovalutati nel tennis moderno. Una decina di anni prima aveva detto a un giovane Bjorn Borg di non ascoltare agli scettici e continuare con il rovescio a due mani). A Rosberg non piaceva la vita da allenatore itinerante, quindi Edberg aveva avviato una collaborazione di lunga data con l’ex giocatore di Coppa Davis Tony Pickard, appena dopo l’eccezionale stagione di successi del 1984. Per Pickard mancavano solo due cose a Edberg: da un lato, serviva che migliorasse il linguaggio del corpo in campo, dall’altro, doveva diventare più veloce per sfruttare al massimo la tattica del servizio e volée. Durante quella semifinale contro Lendl agli Australian Open 1985, la tendenza di Edberg a buttarsi giù aveva sicuramente contribuito ad appesantire l’atmosfera della partita. Pickard era convinto che quell’atteggiamento imbronciato non solo desse troppe informazioni all’avversario, ma incidesse al tempo stesso negativamente sulla sua resa. In quei primi anni, il risultato era che Edberg appariva ancora più robotico. Se non palesava manifestazioni di fastidio, è vero anche che non mostrava alcuna emozione.
Il secondo fronte d’intervento di Pickard è quello che ha ispirato i tanti paragoni con il balletto. La velocità di piede non è l’unico ingrediente di un’efficace tattica servizio e volée, ma certamente aiuta. Una minore potenza rispetto, ad esempio, al servizio di Becker, concedeva a Edberg la frazione di secondo in più necessaria a presentarsi minacciosamente a rete. Diventando più veloce, gli avversari facevano ora estrema fatica a rispondere e nel contempo rendersi conto di dove si trovasse in campo. Potevano solo pensare che fosse vicino e, solitamente, così era. Alla fine del 1991, Edberg aveva vinto quattro Slam e Pickard considerava il lavoro concluso. Aveva detto a Sports Illustrated: “Stefan si muove come una gazzella ora, a volte sembra fluttuare, ed è quasi mistico”. Per i giornalisti di lungo corso l’arrivo sulla scena di Federer è stato più facile da narrare, perché potevano associare al giovane Federer le stesse ossequiose parole che avevano usato per Edberg dieci anni prima. Quell’anno Edberg aveva vinto gli US Open battendo Jim Courier in una finale quasi perfetta. Nel 1992, era riuscito a difendere il titolo, anche se a malapena: erano servite infatti tre di fila partite andate al quinto set, tra cui una delle più monumentali di sempre dell’intero torneo, cioè la semifinale contro Michael Chang, uno dei pochi sul circuito con i tempi giusti, e l’audacia, per rispondere al servizio di Edberg ancora in fase ascendente. Le partite contro Chang non erano mai facili e in questa Edberg era andato a rete 258 volte in 404 punti. Dopo cinque ore e mezza, aveva vinto con il punteggio di 6-7 7-5 7-6 5-7 6-4. A confronto, la finale era stata una passeggiata. Edberg era sì sfinito, come lo era il suo avversario, Pete Sampras, che non stava neanche bene. Erano serviti solo quattro set e, all’eta di 26 anni, conquistava il sesto e ultimo Slam.
Il 100% anche dopo il ritiro
Agli esordi, Edberg aveva scambiato in un’occasione con Connors, le cui sessioni avevano la fama di essere breve e intense. Connors gli aveva detto che valeva la pena giocare solo dando il 100% e che per raggiungere quel livello in partita, serviva mettere il 100% anche in allenamento. Per Edberg era stato il miglior suggerimento che avesse ricevuto, e lo aveva preso in parola. Erano arrivati gli infortuni — di fronte a quel servizio a effetto, Rosberg aveva già previsto futuri problemi alla schiena — e quando non era più riuscito a mantenere un livello di forma adeguato, non ci aveva pensato troppo. Dopo una discreta stagione nel 1996, si era ritirato.
Il consiglio di Connors è rimasto valido anche dopo il professionismo. Edberg ha giocato la giusta dose di tornei del circuito senior, ma preferisce non eccedere, perché non gli interessa la competizione se non è al meglio della forma fisica, e arrivare a quel livello richiede dedizione assoluta. Invece, ha iniziato a praticare squash, diventando in breve tempo uno dei migliori in tutta la Svezia. E, naturalmente, da grande giocatore di volo, è stato l’allenatore di Federer per due anni. Wilander è uno dei rivali sportivi più frequenti di Edberg. In un’intervista televisiva, ha chiesto a Federer: “Cosa gli hai detto per il dritto? È diventato letale, non ho più speranze ora, una volta era il suo punto debole”. Federer ha replicato con ironia: “Hai ragione, non gli ho chiesto di farmi da allenatore, ma è stato lui a chiamarmi perché voleva iniziare a lavorare sul dritto da pensionato della racchetta. Era disposto a pagare qualsiasi cosa per la mia assistenza e quindi ci si ritrova tutti i giorni e viaggia con me a ogni torneo”. È stata una scena divertente, ma nel corso della carriera Edberg raramente si è lasciato sfuggire un’opportunità così preziosa. Sicuri di non volerne dargliene credito? ◼︎
Note:
[1] Non si tratta di cifre ufficiali, perché sono poche le partite del Match Charting Project con dati punto per punto su quelle complessive della specifica epoca. Inoltre, è più probabile che vi siano partite di alto profilo — come finali, semifinali, scontri tra giocatori di vertice — che di altra natura, quindi è più facile che le vere medie in carriera di ciascun giocatore siano più impressionanti dei numeri qui riportati. Ciò detto, la parzialità del dato dovrebbe essere grosso modo uniforme, e si tratta di statistiche estrapolate da migliaia di punti per ciascun giocatore: sono 159 partite di Edberg, 107 di Becker e 163 di Sampras (al momento della traduzione, il totale è salito rispettivamente a 174, 111 e 170, n.d.t.).