Il più grande archivio italiano di analisi statistiche sul tennis professionistico. Parte di Tennis Abstract

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I 128 del tennis — #89, Michael Chang

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Pubblicato il 5 maggio 2022 su TennisAbstract – Traduzione di Edoardo Salvati

A inizio anno, Jeff Sackmann si è imbarcato in un immenso progetto di elaborazione di una classifica dei 128 giocatori e giocatrici più forti di tutti i tempi, ponendosi l’obiettivo di terminare a dicembre 2022. Con una media di più di 2000 parole per singolo profilo, si tratta di una vera e propria enciclopedia di chi è chi nel tennis, dalla sua nascita a oggi. Per limiti di tempo e più evidenti limiti di talento, settesei.it propone una selezione delle figure maggiormente rappresentative per vicinanza d’epoca e notorietà, n.d.t.

Michael Chang [USA]
Data di nascita: 22 febbraio 1972
Carriera: 1988-2003
Gioco: destro (rovescio a due mani)
Massima classifica ATP: 2 (9 settembre 1996)
Massima valutazione Elo: 2186 (secondo nel 1992, 1996-7)
Slam in singolo: 1
Titoli ATP in singolo: 34

// Quando nel 1977 John McEnroe andò per la prima volta al Roland Garros, il suo compagno di battute Vitas Gerulaitis gli disse cosa doveva aspettarsi: “Giocherai contro qualche europeo che non hai mai sentito nominare, e ti spaccherà le ossa”. Gerulaitis però si sbagliava, McEnroe non perse mai contro un anonimo giocatore europeo al Roland Garros, ma sembrava quello il destino segnato degli americani sulla terra battuta parigina. Al debutto di McEnroe, nessun americano aveva vinto il Roland Garros da Tony Trabert nel 1955, ed erano passati quasi venti anni prima di avere anche solo un finalista, lo stesso Gerulaitis nel 1980. McEnroe si trovò a un set dalla vittoria nel 1984. Nel 1988, raggiunse gli ottavi di finale prima di perdere (di nuovo) dal tre volte campione Ivan Lendl, sconfiggendo facilmente nel percorso la sedicenne wild card americana Michael Chang per 6-0 6-3 6-1.

Alla fine dell’edizione del 1988 però, si erano manifestati segnali di cambiamento per il movimento tennistico americano. Andre Agassi, appena alla sua seconda partecipazione, arriva in semifinale, costringendo il poi vincitore Mats Wilander al quinto set. Gli addetti ai lavori sapevano che un altro giovane connazionale ed ex compagno di stanza di Agassi, Jim Courier, era pronto a dire la sua. Courier infatti avrebbe sorpreso Agassi nel 1989 e vinto il torneo per due anni di fila nel 1991 e 1992, mentre Agassi avrebbe dovuto attende il 1999. Fu però Chang il giocatore che mise fine all’assenza di americani nell’albo d’oro. Nel 1989, aveva 17 anni e un fisico minuto, 172 cm per 60 kg. Aveva giocato solo cinque tornei sulla terra, di cui quattro sull’Har-Tru usato negli Stati Uniti, di fatto un surrogato della superficie originale. Più giovane di Agassi di venti mesi, di Courier di diciotto e di Pete Sampras di sei, Chang li salta tutti in un colpo per diventare il primo vincitore Slam del quartetto e dare il via a un decennio memorabile per il tennis maschile statunitense. Chang avrebbe poi vinto altri 32 titoli, arrivando al numero 2 della classifica sette anni più tardi. Il Roland Garros 1989 rimane però l’unico Slam che ha vinto. Ed è stata una vittoria talmente inattesa, un traguardo unico, che si tende a valutare il resto della sua eccellente carriera con un po’ di riserva. Ma non importa, si è trattato davvero di uno dei momenti trascendenti nella storia del tennis.

Chang e Sampras sono cresciuti insieme, affrontandosi una dozzina di volta nei tornei juniores della California del Sud. Solitamente era Chang a vincere e quando Franz Lidz ne fece un profilo per Sports Illustrated nel 1988, si riferì a Sampras come “il qualche volta compagno di doppio di Chang”. Prima del Roland Garros 1989, entrambi si allenarono per qualche tempo con Jose Higueras, uno spagnolo vincitore di 16 tornei sul circuito maggiore, di cui 15 sulla terra battuta.

Un americano a Parigi

Ignorando la profezia di Gerulaitis, la testa di serie numero 15 Chang passa facilmente i primi tre turni nonostante sia solo alla seconda presenza a Parigi. Batte infatti il belga Eduardo Masso e lo spagnolo Francisco Roig, con nel mezzo un triplice 6-1 a Sampras. La ricompensa per aver essere giunto agli ottavi si chiama Ivan Lendl, il numero 1 del mondo. Per Chang, Lendl in quel momento era “l’avversario più temibile del circuito”. Nei sei mesi precedenti, si erano affrontati due volte. La prima, in un’esibizione a Des Moines, dove Lendl aveva strapazzato Chang, per poi prodigarsi con il suo avversario nel viaggio in limousine di rientro all’hotel sulla spiegazione della vittoria: “Sai, per come è il tuo gioco ora, non hai nulla che possa infastidirmi”. La seconda, sempre un’esibizione, sulla terra verde ad Atlanta. Le parole di Lendl erano arrivate dritte al cuore di Chang. Un po’ di forza e aggressività in più a disposizione e Chang aveva vinto 7-5 al terzo. Non contava per la classifica, ma nella testa di Chang la molla era scattata. Lendl arrivava a Parigi da trionfatore degli Australian Open, e con cinque titoli negli ultimi sette tornei. Chang però sapeva di avere una possibilità.

Il numero 1 vince i primi due set 6-4 6-4, ma non è un affare a senso unico. Al servizio per chiudere il primo set, Chang ottiene il break dopo uno scambio di 20 colpi, quasi un’inezia rispetto ai due precedenti di 40 e 51. Chang fa un altro break all’inizio del secondo set, prima che Lendl recuperi portandosi in vantaggio per due set a zero. È difficile farsi un’idea della disposizione mentale con cui il diciassettenne Chang si affaccia al terzo set, rimanendo convinto di poter ancora vincere. Mark Kratzmann, un giocatore australiano che Chang aveva battuto in cinque set a Wimbledon 1990, ha detto: “Se lo costringi a una posizione di svantaggio, cambierà la sua tattica. Molti giocatori hanno paura di modificare il loro gioco, Chang no. A quel punto quasi ti costringe a decidere se vuoi tu conservare la tua strategia o adattarsi alla sua. Ti porta a riflettere, e molti giocatori non riescono a gestire questa cosa”. Anche Arthur Ashe, altro giocatore mentale, era d’accordo, dichiarando al Los Angeles Times: “È senza dubbio il più giovane e astuto giocatore che abbia visto. Ha un’intuizione in campo che paragono solamente a un prodigio degli scacchi all’età di 9 anni. Gli vedi fare cose che ti aspetteresti da un giocatore molto più navigato”.

Senza nulla da perdere, Chang alza il tiro. Ancora non possiede quel campionario di soluzioni che può far male a Lendl, ma ha imparato a usare le poche che si ritrova. Con due dritti a uscire si procura il break sul 3-3 e poi un altro nell’ultimo game del set, lasciando la testa di serie numero 1 con più di un dubbio. Dopo che Chang si porta avanti 4-2 nel quarto set, l’armatura di Lendl inizia a mostrare crepe. Si lamenta delle condizioni e delle chiamate e, dopo aver accusato l’arbitro Richard Ings di “fregarlo in ogni circostanza”, perde il settimo game a causa di un punto di penalità. Chang si guadagna il punto del set con un sanguinoso scambio di 39 colpi, e il set si chiude su un altro errore non forzato di Lendl.

Davide contro Golia

Già era la partita del torneo, il quinto set l’avrebbe resa una delle partite del decennio. Chang inizia avendo i crampi e dopo tre game quasi si ritira. Nonostante riesca a muoversi a malapena, resiste, lanciando palle alte al di là della rete per rallentare lo scambio e provando vincenti ad alto rischio non appena si presenta la minima opportunità. Dall’alto della sua esperienza, il veterano Lendl non riesce a modificare il suo gioco. Trabert, vincitore del torneo nel 1955, commentando per la tv australiana, dice che Lendl crolla, riconoscendo a Chang di averlo mandato nel pallone. Chang fa il break nel settimo game e si porta avanti 4-3. Al servizio sul 15-30, intuisce che è un momento di svolta della partita. Gli viene in mente di servire dal basso, “non ci ho pensato due volte, l’ho fatto e basta…non era una cosa programmata, e non avevo mai servito così prima di quel momento”. Funziona, perché Lendl segue la debole risposta a rete e viene passato. La crisi è sventata.

I trucchi non erano finiti però. Con Lendl al servizio sul 3-5, 15-30, Chang mette a segno un vincente di rovescio lungolinea, terminando uno scambio da 26 colpi e issandosi alla palla match. Lendl sbaglia la prima di servizio e sulla seconda Chang si posiziona a trenta centimetri dalla riga del servizio, una tattica che usava occasionalmente nei tornei juniores per mettere pressione agli avversari. Lendl trema come un fuscello e commette doppio fallo, consegnando la partita a Chang. Anni dopo, un giornalista chiede a Chang quale personaggio della Bibbia è il suo preferito. La risposta è Davide, colui che sconfigge il gigante Golia in un solo combattimento. Non sono necessarie spiegazioni.

Di fronte a un tennis di giganti rispetto a lui, Chang si identificava facilmente con i meno dotati dalla natura, i quali a loro volta ne facevano un idolo. La sua vittoria a sorpresa contro Lendl aveva ispirato un’altra diciassettenne, Arantxa Sanchez Vicario, a compiere la sua irrealistica impresa. Arrivata in finale come testa di serie numero 7, la spagnola aveva relegato Steffi Graf al ruolo di perdente dopo una partita maratona, decretandone la prima sconfitta in una finale Slam dal 1987. Chang aveva seguito la progressione di Sanchez Vicario, ma la sua attenzione era catturata da un altro scenario di Davide-contro-Golia ben più lontano. Per settimane, protestanti cinesi a favore della democrazia si erano radunati a Pechino in piazza Tiananmen. Insieme ai genitori — il padre nato in Cina e la madre appartentente a una famiglia di diplomatici cinesi — era rimasto sintonizzato alla CNN per tutto il torneo, con la tensione che aumentava. Il giorno prima della partita contro Lendl, il governo aveva spiegato l’esercito, portando a un massacro di almeno qualche centinaio di persone, ma più probabilmente di migliaia.

Alcune ricerche suggeriscono che gli atleti hanno un rendimento superiore se competono in nome di qualcosa più grande di loro. A Chang certamente non mancava quel tipo di motivazione. Disse in un secondo momento: “Si trattava dell’opportunità di portare un sorriso al popolo cinese nel mondo, quando di motivi per sorridere ce n’erano ben pochi”. E così il novello Davide si era prodigato per sollevare gli animi dei tifosi cinesi e americani. Nei quarti sconfigge Ronald Agenor, il “fenomeno di Haiti”, anche dopo che Agenor aveva vinto un punto importante usando la stessa tecnica di Chang della risposta vicino alla riga. In semifinale, vince un’altra partita molto combattuta contro Andrei Chesnokov. In finale trova la testa di serie numero 3, Stefan Edberg. Lo svedese ha anni di esperienza e tre titoli Slam in bacheca. Chang però ha le sue ragioni per essere fiducioso: tre mesi prima al Masters di Indian Wells aveva vinto facilmente 6-3 6-2. Questa volta non è così semplice, ma il risultato è identico. Si giocano cinque set, in cui Chang salva 19 palle break su 25. Si difende contro il magistrale gioco servizio e volée di Edberg, limitandolo a solo il 58% di punti a rete con la prima di servizio. Al quinto set, nessuno avrebbe avuto da dire se Chang si fosse spento, del resto il carico emozionale era stato sin li enorme, e di nuovo i crampi lo avevano colpito dopo la semifinale. Ma è Edberg a svanire e Chang vince 6-1 3-6 4-6 6-4 6-2.

A una partita dal numero 1

La vittoria al Roland Garros è stata l’apice della carriera di Chang. Non avrebbe più vinto uno Slam nonostante le altre tre finali negli anni ’90. Agassi, Courier e Sampras lo avrebbero sorpassato, ognuno con più vittorie Slam e costantemente in cima alla classifica. Sponsor e agenti non lo avrebbero più supportato con lo stesso trasporto manifestato a seguito del trionfo a Parigi. Mentre si allena nel dicembre 1989, Chang percepisce un movimento anomalo dell’anca. È costretto a un mese di stampelle e, al rientro sul circuito, fatica a mettere insieme qualche vittoria. La classifica, dal numero 5 raggiunto nella stagione che lo lancia, scende al numero 14 prima del Roland Garros 1990 e al 24 dopo la sconfitta contro Agassi nei quarti di finale. Pur con alti e bassi, non è mai battuto in partenza: vince il Canada Masters facendo fuori uno dopo l’altro Agassi e Sampras. Nelle semifinali di Coppa Davis a settembre, recupera sotto due set per battere l’austriaco Horst Skoff.

Servono due anni prima di poter ritornare al vertice. All’inizio del 1991, stabilisce con l’allenatore, suo fratello Carl, un nuovo metodo. Insieme, si dedicano ad ampliare e rafforzare il gioco di Chang in modo che non faccia esclusivo affidamento sull’abilità alla risposta e sull’intelligenza tennistica. Dopo un cambio di racchetta nel 1994, riesce a raggiungere con il servizio anche i 193 km/h, rispetto a una media al Roland Garros 1989 di 124 km/h. Si ripresenta tra i primi 10 a marzo del 1992, e ci rimane per sei anni, un periodo di tempo a malapena citato nella sua autobiografia, se non per dire che sono stati gli anni migliori della carriera. Trascorre la maggior parte del 1997 al secondo posto, arrivando a una partita da agguantare il numero 1. È Patrick Rafter a spegnere la speranza battendolo nella semifinale degli US Open, e nel resto della stagione Chang vince solo tre partite su dieci. Gli infortuni colpiscono ancora nei primi mesi del 1998 sancendo di fatto l’abbandono dell’élite tennistica.

Fede, pensiero e pesca al branzino

Dai trionfi in adolescenza agli anni di solida presenza tra i primi 5, Chang ha sempre lasciato perplessi giornalisti e giocatori. John Feinstein lo ha definito “tanto posato e incolore, quanto Agassi è eccentrico e pittoresco”. I cronisti non sapevano come gestire la sua aperta aderenza al Cristianesimo, e la fiducia di avere Dio dalla sua parte allontanava i colleghi. Agassi percepiva la fede di Chang particolarmente irritante: “Ogni volta che batte qualcuno, punta il dito al cielo. Ringrazia Dio — è merito Suo — per la vittoria, ed è una cosa che mi offende. Che Dio stia con lui e contro di me quando giochiamo, che Dio sia nell’angolo di Chang, mi sembra ridicolo e offensivo. Quando lo batto assaporo ogni colpo blasfemo”. Anche il pubblico parigino era infastidito dalla posizione dichiaratamente religiosa di Chang, fischiando un giocatore che altrimenti sarebbe stato abbracciato con entusiasmo. Nel tempo, Chang è diventato più cauto nel parlare della sua fede, pur non nascondendola mai.

L’aspetto che più confondeva gli avversari però era il livello di pensiero che accompagnava l’azione di Chang. Ashe lo aveva paragonato a un prodigio degli scacchi, ma la ricerca di un qualsiasi vantaggio tattico era a volte più prosaica. Dopo la loro prima partita, McEnroe disse a Fenstein: “Aveva vinto il sorteggio, stava quindi a lui decidere, se servire o ricevere. Era rimasto li a pensare. Voglio dire, eravamo al chiuso. Alla fine, dopo trenta secondi, ho chiesto se ci fosse un limite di tempo per fare la scelta”. Il tennis per Chang era tutta una questione di preparazione. Aveva reagito all’analisi di Lendl nel giro di pochi mesi. Il padre e il fratello studiavano con ossessione i video delle partite per trovare punti di debolezza nel prossimo avversario. Sotto pressione, era in grado di mantenere lo stesso rendimento — in un periodo a metà degli anni ’90 aveva vinto 27 set decisivi su 30 — controprova di aver sempre pronta un’altra strategia a cui rifarsi.

Fuori dal campo, si rilassava andando a pescare. Ha scritto nella sua autobiografia: “Ho scoperto che la pesca, in qualche modo, è simile al tennis. La preparazione e la tecnica sono importanti, così come stabilire in anticipo il modo in cui batterai il pesce. Questo implica dover scegliere l’amo più adatto, la posizione della barca, l’esca artificiale adeguata — che siano vermi di plastica, pesciolini artificiali rotanti come gli spinner o i crank, oppure i plug per le zone più profonde — o quella viva come i lombrichi, i gamberi d’acqua dolce, i tenebrioni o le salamandre tigrate”. Pochi giocatori penserebbero che una preparazione così lenta e accurata abbia qualcosa a che fare con il tennis. Di certo è complicato trovare un parallelo tra l’amore per la pesca al branzino e la potenza con cui Chang colpiva un dritto a uscire aggredendo la palla dalla linea di fondo. Ma nessun Davide ha mai vinto il combattimento facendo lo stesso gioco di Golia. ◼︎

The Tennis 128: No. 89, Michael Chang

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